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IL ROMANISTA Le prove dell’esistenza di Totti

Francesco Totti

(G. Manfridi) – Si parla di Totti ovunque, comunque, all’infinito, come in fondo avviene da sempre, con questa intermittente necessità di doverci sorprendere nel ricordare chi sia, cosa rappresenti e di cosa sia capace. Da cui, una serie di scioglilingua mentali, tipo:l’unico modo che Totti ha per sorprenderci è non sorprenderci più. Oppure, con sviluppo più articolato: sorprendente che continui a sorprendere quando saremmo i primi a sorprenderci se smettesse di farlo. E quando non sorprende, ecco che ci sorprendiamo a vivere momenti di panico in cui siamo costretti a immaginare una Roma senza di lui, che è sorpresa perenne e ribadita, stupefazione costante ad alta quota, tempo dilatato nell’enfasi di un panegirico non sforzato, ma inevitabile, obbligatorio, che abbiamo iniziato a intonare, per la nostra gioia, quasi vent’anni fa. Per la nostra gioia e per il dispetto di molti, dei quali molti la gran parte si sta però arrendendo, tanto che leggo elogi al Capitano di una tale trasversalità che addirittura mi insospettisce.

Le istituzioni lo esaltano, gli allenatori avversari si cavano il cappello, e parecchi dei suoi detrattori storici, incapaci di pronunciare il vero, preferiscono ridursi al ruolo di chi tace. Meglio così, ma in fondo sono cambiamenti che non cambiano un bel nulla. Totti è una cosa che va, a onta di un’anagrafe sfidata giorno per giorno, stagione dopo stagione, tra scherni volgari, nomignoli anacronistici, irriverenze sprizzate dall’invidia, e tra l’affetto idolatra e potente dei tantissimi che, beneficati dal suo talento, gli corrispondo un grazie prolungato, ininterrotto. Un grazie che è un banale, umanissimo, grazie di esistere. Frasetta generica che ha il suono fanciullesco di un luogo comune; forse lo è, ma la vita reale è intrisa di luoghi comuni, e questo, nella fattispecie, rende conto di uno stato d’animo naturale che è un gioioso tributo alla gratitudine nei confronti di chi sa dispensarci una lietezza di fondo garantita da tempo immemore e messa a salvaguardia – o, se preferite, a parziale compenso – dei tanti e diversi malesseri individuali, dei mille tracolli da cui nessuna vita può essere esentata. Totti c’è. Ti accade questo o quell’altro? Totti c’è. E vai! L’ho detto! Ho rotto gli ultimi legacci imposti ai freni inibitori e mi sono abbandonato alla sfrenatezza delirante di un romanista che non vuol darsi più limiti nell’affermare cosa significhi per lui il suo Capitano.

D’altronde, parlando di Totti, non sono il primo in questi giorni e su queste pagine a insinuare riferimenti metafisici che rimandano al divino. Ci ha già pensato da par suo Tonino Cagnucci, a caldo, nel dopopartita, pochi giorni fa. Con ironia, certo. Ma grazie a Dio che c’è l’ironia a consentirci di parlare di uno che non è Dio come fosse Dio e, dunque, a rendere decente lo sproposito della nostra sincerità. Poi, però, Totti ci piace immaginarlo anche come Francesco, come uno ancora più ironico di noi, più mortale di noi, più fragile di noi, più simpatico di noi, più romanista di noi. Ci piace vederlo anche imperfetto per goderci meglio, a contrasto, gli exploit dei suoi gesti perfetti, che, poiché perfetti (e la perfezione sapete voi a chi appartenga), immancabilmente ci sorprendono, e tanto più ci sorprendono in quanto già conosciuti, come immancabilmente ci sorprende lo splendore di un capolavoro già visto o già letto – che so… la Gioconda, ‘Delitto e castigo’ – o la magnificenza delle cascate del Niagara, che se torni ad ammirarle una seconda volta, lo sgomento si rivela ancora più forte che al primo impatto. Comprensibile: è solo quando sei costretto a ribadire la certezza della perfezione, che la perfezione ti travolge con l’evidenza della sua realtà non travisata. Amici miei, va da sé che state leggendo le parole di un dissennato, e perciò confido nella vostra attuale, sia pure temporanea disennattezza, frutto di un Inter-Roma 1-3, con Francesco Totti a signoreggiare sulla partita, sul Meazza, sul campionato. Un Francesco Totti che solo se celebrato con impeto tenorile, con smodata faziosità, può essere raccontato per ciò che egli di fatto è. E se in forma di ironia il fiato del cuore ci fa parlare di Dio, l’emozione filtrata dall’intelligenza ci induce a ravvederci ridimensionando il Capitano a stature più consuete. Tanto, neanche questo basterà a diminuirlo. Anzi! Da mortale, ogni grande mortale è ancora più grande di quanto la sarebbe se fosse davvero un Dio. E ora fermo la penna e vado a fare altro. E’ già più di un’ora che non torno a vedere il suo assist per Osvaldo. Un’astinenza da perfezione che si va facendo insopportabile.

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