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IL MESSAGGERO “Roma, avanti con un sorriso”

Federico Balzaretti

(M.Ferretti) – […] A Federico Balzaretti piace raccontare e raccontarsi senza tirar su grosse barriere. E così si concede con generosità, spaziando dai primi calci con la maglia granata del Torino fino alla chiamata della Roma («Roma è sempre stata la Roma e basta») passando attraverso la propria vita privata[…]

Balzaretti, lei è torinese: famiglia torinista o juventina?
«Juventina al cento per cento».

E come mai ha cominciato al Toro?
«Perché in quel periodo la Juventus non aveva i Pulcini e così pur di giocare a pallone a sei anni andai al Torino».

Era già terzino sinistro?
«Penso di essere nato terzino sinistro».

Il suo idolo da bambino?
«Paolo Maldini, un autentico fuoriclasse».

Ricorda il nome del suo primo allenatore?
«Certo, Michele Ciociola».

E Ciociola cosa le insegnava in quel periodo?
«Cercava in tutti i modi di farmi crescere…».

Tecnicamente?
«No, fisicamente. Ero piccolo piccolo… E per diversi anni ho rischiato di essere scartato per via del mio fisico esile. La svolta c’è stata dopo il campionato con gli Allievi: avevo giocato davvero poco, stavo per essere svincolato ma l’allenatore della Primavera volle portarmi lo stesso in ritiro e da quel momento è cambiato tutto».

Chi era quel tecnico?
«Claudio Sala. Il poeta del gol, ricordate?».

È cominciata con lui la sua carriera di professionista?
«Esatto. Il Toro mi ha mandato un po’ in giro, prima Varese poi Siena, quindi mi ha fatto tornare a casa, ho esordito in serie A e ho fatto anche la B prima del fallimento della società».

E, da svincolato, è andato alla Juventus. È vero che ha avuto anche la possibilità di venire a Roma?
«Ci furono soltanto delle chiacchiere, nulla di concreto».

Da juventino ha vinto nel 2006 uno scudetto che non esiste.
«Per me esiste eccome, lo sento mio, ho lavorato un anno intero per vincerlo. Se l’hanno tolto alla Juve, non l’hanno tolto a Balzaretti».

Il suo allenatore alla Juve era Fabio Capello: come si è trovato con lui?
«Bene: era un tecnico che trattava tutti allo stesso modo, un ottimo psicologo e grande gestore del gruppo».

Esiste l’allenatore ideale?
«No, esistono tanti tipi di allenatore, ognuno con i propri pregi e difetti. Per me litigare o non andare d’accordo con un tecnico è quasi impossibile perché sono convinto che se uno non gioca la colpa quasi mai è dell’allenatore».

Alla Roma non è arrivato da svincolato ma esterno-top player.
«Ci sono arrivato al momento giusto della mia vita e della mia carriera».

Merito dell’Europeo?
«È stata una vetrina importante, soprattutto per la popolarità che mi ha regalato, ma anche prima avevo fatto cose buone. Ogni anno nella mia carriera c’è stato un miglioramento, un passo in avanti. E di questo ne sono felice. Io non amo il tutto e subito».

È un messaggio indiretto ai tifosi della Roma?
«Forse. Devo ammettere che il post Catania mi ha molto sorpreso…».

Cioè?
«Da squadra da scudetto la Roma è passata in zona retrocessione o quasi… Possibile? Per crescere ci vorrebbe maggiore equilibrio. Per come sono fatto, io ripenso al Catania e mi tengo stretta la doppia rimonta e la considero un dato positivo. I successi si costruiscono anche attraverso le sconfitte o i passi falsi: il nostro viaggio è appena cominciato, impossibile essere già perfetti».

Il vostro viaggio domani farà tappa a Milano.
«L’Inter la inserisco tra le favorite per lo scudetto. Ha giocato più di noi, quindi ha avuto più possibilità per perfezionare schemi e automatismi».

Contromisure?
«Il nostro gioco e basta. Sarà determinante ciò che faremo noi, non quello che riuscirà a fare l’Inter».

Ha fissato un obiettivo stagionale?
«Portare la gente allo stadio e farla divertire con un calcio propositivo, offensivo, spettacolare. Creando un tutt’uno tra tifosi e squadra. Non è complicato, si può fare».

Sta imparando a conoscere Totti?
«Mi è bastato stargli un attimo accanto per rendermi conto della differenza tra lui e un giocatore normale».

De Rossi della Roma è lo stesso che ha conosciuto in nazionale?
«La Roma è la sua vita, qui e in azzurro. Lui e Totti sono la prova provata di cosa sia il senso di appartenenza. Trasmettono valori con l’esempio, stando sempre in prima fila e mettendo a disposizione gli altri le loro qualità, e non con le chiacchiere».

Lei a Firenze aveva giocato con Osvaldo: cambiato?
«In meglio, ora è più maturo. A me, lo confesso, piace tantissimo. Un attaccante completo e, come si dice adesso, moderno. Ma anche Destro lo è: testa, piede, sinistro, destro…».

Federico, lei ha tre figlie femmine: non le manca un maschietto aspirante calciatore?
«Un altro figlio mi piacerebbe, ma non ditelo a Eleonora… Ma se fosse un’altra femminuccia sarei ancora più contento. Ve l’ho detto: sono innamoratissimo delle mie quattro donne».

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