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IL ROMANISTA Bruno Conti: “Roma, la mia vita”

Conti

(F. Cassini) – Dal primo amore – il baseball – al Mondiale spagnolo passando per lo scudetto, Totti che “è come un fratello” e De Rossi che “è come un figlio”. È un Bruno Conti a tutto tondo quello che si è raccontato in una lunga intervista in cui ha ripercorso le tappe della sua vita straordinaria, a cominciare da quando ai campi di calcio preferiva il diamante: “Mi appassionava da morire. Avevo uno zio che era custode dello Stadio Comunale di Nettuno. Con la scusa di andare a trovare mio cugino ero sempre in campo, giocando a baseball o come raccattapalle della squadra locale. Quando giocavo nell’Anzio, sono stato scartato da Bologna e Sanbenedettese. Mi dicevano che ero bravo tecnicamente ma fisicamente non potevo giocare a calcio. Sono stato rifiutato anche dalla Roma di Helenio Herrera, ma dentro di me non m’importava. Tanto giocavo a baseball. Fino a quando, in un torneo dei bar, mi vide giocare Tonino Trebiciani, all’epoca secondo allenatore della Roma, ho fatto provino nel ’73 e mi hanno preso”.

Calcio che per Conti era innanzitutto un divertimento: “Non dimenticherò mai quando Liedholm mi portava, da Primavera, agli allenamenti al campo Tre Fontane e prima di un’esercitazione sui fondamentali mi chiamava per far vedere a gente della prima squadra, come De Sisti e Cordova, come si svolgesse. Era un divertimento, mi riusciva naturale, avevo sempre questa voglia di migliorarmi. Lui mi ha insegnato stop di tacco, di stinco, di coscia, d’interno, d’esterno, come facevi a non divertirti?”. Calcio che gli ha dato amici veri e avversari da rispettare: “Carlo Ancelotti e Roberto Pruzzo sono amici veri. Con Carlo dividevamo la camera, eravamo in Nazionale, le famiglie si frequentavano. Con Roby abbiamo condiviso, prima di trovarci alla Roma, l’anno al Genoa e il militare, vivevamo assieme. Ma il compagno più forte che ho avuto è stato Prohaska, serietà e professionalità incredibili. L’avversario? Quel cagnaccio di Claudio Gentile!”.

Una carriera di successi l’ha portato a diventare una bandiera della Roma, e anche errori che rifarebbe: “Il rigore con il Liverpool e il non andare al Napoli: quando ci abbracciavamo da capitani, Maradona mi diceva sempre di raggiungerlo, ma se sei innamorato di questa maglia e di questa gente, si fanno scelte diverse”. E poi ci sarebbe il Mondiale di Spagna: “Abbiamo capito che l’avremmo vinto dopo aver passato il turno con l’Argentina e il Brasile. Ricorderò sempre, finito il primo tempo della finale, la reazione di Bearzot con Cabrini, ma non perché aveva sbagliato il rigore, bensì perché era a pezzi. L’ha insultato, l’ha fatto saltare in aria per spronarlo”.

Dai ricordi alla Roma di ieri, quella che contribuisce a costruire da anni con il lavoro nel settore giovanile. “Un giocatore che mi somiglia? Totti, per il legame con la città e la società. Lui anzi ha fatto molto più di me per i record e gli infortuni che ha subito. De Rossi invece deve dimostrare di arrivare ai livelli di Francesco, perché poi sono i numeri quelli che contano. Ma dopo Di Bartolomei, me Giannini e Totti mi aspetto sicuramente Daniele”.

 

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