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IL MESSAGGERO. “Roma io vivo per te”

Daniele De Rossi

(U.Trani) Come mai ha detto sì?«Mi sono reso conto che quello di cui ho bisogno sta qui. Non è cambiato molto dal primo contratto, forse il percorso è stato più lungo. Qualche indecisione l’ho avuta, ma io ho bisogno della Roma per giocare in una certa maniera. Ho ascoltato mille persone, ma ho sempre saputo quale sarebbe stata la mia scelta».

Quali dubbi ha avuto?
«C’è stato un momento, lo scorso anno: dopo un derby, sentivo che l’amore dei tifosi nei miei confronti era leggermente scemato. Non di tutti e non a livello umano. Non venivo più visto come giocatore importante. Anche per colpa mia. Avevo l’impressione che ci fosse un disinnamoramento. E poiché io qui volevo restare solo se ero ben voluto, ho cominciato a valutare altre soluzioni. In un secondo momento mi ha affascinato, più del solito, l’ambizione di confrontarmi con i più forti al mondo, visto che ero in scadenza. E non è un segreto che ho parlato con altri club: volevo vedere se ero davvero forte a certi livelli. Ma lo farò qui»”
Quanto ha pesato nella decisione Luis Enrique?
«Il mio amore per la Roma è a prescindere da chi siano l’allenatore, i dirigenti, i presidenti e le società. Luis Enrique è stato però fondamentale. È il tecnico migliore che abbia mai avuto: per il ruolo che mi ha dato in campo e per la sua gestione della squadra, dai ritiri alla partenza per le trasferte in giornata. Siamo sulla stessa lunghezza d’onda».
Che cosa ha ritardato l’intesa con la Roma?
«L’ingaggio è stato l’ostacolo. Non volevo far sconti. Abbiamo discusso molto, mai in maniera cattiva. Ho chiesto una cifra il primo giorno. È rimasta quella. La clausola è stato un giusto e lecito tentativo della società. Ma avrebbe stonato con il mio rapporto con la Roma».
Come Totti, la Roma a vita: scelta di testa o di cuore?
«Se due giocatori come me e Francesco hanno sposato questa squadra si può giustificare con i tifosi, con la meraviglia che è questa città ogni giorno. Si fa fatica ad andare via e siamo stati fortunati a vivere sempre ambienti positivi. Oggi proprio come nei primi otto anni della mia carriera sono stato più in una famiglia che in una società. Devo molto alla famiglia Sensi. Il pensiero di lasciare ti viene quando le cose non vanno bene. Ma ormai ho deciso. Sarebbe una tortura pensare, alla prima sconfitta, dove avrei potuto giocare. So che cosa significa rimanere qui e non cogliere certe opportunità. È una scelta di cuore, anche se non resto qui per fare il turista. C’è una componente affettiva, ma credo molto in questo progetto».
I soci in assemblea erano contrari al rinnovo: stupito?
«Io devo rispondere sul campo, anche se non tengo conto del parere di un socio che parla a titolo personale. Spero di convincere tutti quanti. Se tra i tifosi c’è qualcuno che ha dubbi, Roma è anche questo. Si parla di calcio ventiquattr’ore al giorno per sette giorni. E’ banale dire che ognuno ha il suo pensiero e che lo rispetto. Spero che alla prossima assemblea tutti saranno con me. Ne dubito ma ci proveremo».
Se, come ha detto, crede nel progetto, in 5 anni la Roma potrà vincere lo scudetto o la Champions?
«Penso di si. Un direttore generale può attendere anche dieci anni per un scudetto, io no. Voglio che questo sia l’unico anno in cui partiamo in seconda linea. Ci siamo creati un piccolo alibi ma quest’anno non era immaginabile di poter vincere. Però, basta. Il dg dovrà fare un grosso lavoro. La società ha fatto il passo giusto, ma bisogna ancora maturare. Il limite è quello di una squadra giovane. Ma in cinque anni penso di poter tornare a lottare per il titolo. La Champions è più dura, ci sono realtà enormi per forza economica».
De Rossi è più in vetrina che nelle ultime due stagioni. Che cosa era successo negli ultimi due anni?
«Qualcosa è mancato. Ma quantificare le prestazioni in anni è un modo di fare che non sposo. In questa stagione c’è stata una crescita, dovuta anche a me: sono partito con la volontà di zittire tanta gente che parlava di un giocatore in calo. Follie. Ma evidentemente ho prestato il fianco a queste interpretazioni. Ho trovato un allenatore che mi valorizza e mi dà responsabilità. Mi mette in un ruolo che amo. Giocare per fare il compitino non mi piace, io voglio stare in mezzo al gioco e toccare tutti i palloni. In una posizione che mi fa essere la causa di vittorie e sconfitte»
In che cosa deve migliorare la Roma?
«La pazienza della tifoseria è stato un grande passo in avanti. Contro l’Inter abbiamo dato prova di un’enorme crescita. Qui spesso ci sono stati i tifosi degli americani e quelli dei Sensi: questo distoglie l’attenzione dalla Roma, l’obiettivo finale diventa quasi rafforzare le proprie idee. Noi giocatori dobbiamo crescere nella tecnica e nell’esperienza».
Totti le ha detto qualcosa durante la trattativa?
«Mi ha lasciato tranquillo, non mi ha mai pressato. Pur senza battere i suoi record, ci metterei la firma per fare il suo percorso ed essere il beniamino di tutti fuori e il calciatore decisivo in campo. Ha uno scudetto in più: è la spinta per la mia carriera. Si può essere grandi pure senza lo scudetto, ma ho una voglia incredibile di mettere qualcosa in bacheca».
Quali garanzie ha ricevuto dalla nuova proprietà?
«Mi hanno convinto elencandomi i propositi, ho parlato anche con i presidenti quando sono venuti dall’America. Per la verità ancora non ho capito chi sia il presidente…».
Quanto è stato importante il suo procuratore Berti?
«Mi dispiace che sia stato descritto come un orco. Come l’uomo che mi voleva portare via da qui. Lui parla con la società per bocca mia. Da professionista ci può stare che mi abbia consigliato società più blasonate, ma ha sempre spostato la mia volontà».
Può raccontare i passaggi della negoziazione, iniziata con la precedente gestione?
«La vecchia società mi aveva offerto il contratto due anni fa, quando con Ranieri eravamo in lotta per lo scudetto. Rosella Sensi mi ha chiamato e mi ha proposto il rinnovo. Li ho sbagliato io, ho detto che non era il momento. Poi sono uscite fuori problematiche oggettive più grandi, ostacoli economici e formali. La società era in vendita e non mi sembrava giusto pretendere il rinnovo in un momento di difficoltà, anche se non ho mai chiesto un nuovo contratto, mi è sempre stato proposto. Loro mi hanno sempre accontentato. Questa società si è trovata in una situazione difficile, perché ero vicino alla scadenza. Il mio affetto per la Roma, però, non esclude che io abbia esercitato un potere per guadagnare di più».
Fisicamente come va?
«Sto meglio, anche come umore. Ho sofferto otto anni fa per la pubalgia, ho fatto cure che mi hanno fatto perdere tempo. Quindi ero preoccupato. Ho passato momenti non facili. Non riesco a stare fuori, divento nervoso. Ho sofferto un po’ ma ora credo di star bene».
Durante la trattativa, è stato criticato dai tifosi. Perché?
«Vale lo stesso discorso fatto per gli azionisti, non tutti sanno bene come stanno le cose. Credo che debbano essere contenti per le mie prestazioni e che per cinque anni hanno un giocatore che sente qualcosa di forte quando gioca per la Roma. Se però sperano di trovare una bandiera che giochi gratis, andrei io a stringergli la mano. E’ giusto che i tifosi dicano quello che vogliono, ma io li ho sempre sentiti vicini».
Come valuta la prova di domenica?
«Abbiamo battuto per la prima volta una grande. Il nostro rendimento è altalenante perché è un anno di assestamento, anche per trovare consapevolezza. Ma non dobbiamo rinunciare ad arrivare il più in alto possibile. A riprendere l’Udinese, la Lazio e l’Inter. Si può puntare al terzo posto, a prescindere che giochi io o no».
Quale club è stato in questi mesi la tentazione più forte?
«Non lo dirò mai, non è giusto. Ho avuto diverse offerte, alcune affascinanti e che ti levano il sonno per due-tre notti».
Che cosa ha ferito il giocatore e l’uomo in questi mesi?
«Ex calciatori che se ne sono usciti con i miei problemi extracalcistici. Di più, però, le cose uscite dalle bocche di persone a cui tengo. Mi sono informato più di quanto la gente pensi, nei social network facendo il guardone. Gente che qui mi abbraccia tutti i giorni».
Il rinnovo può rappresentare anche uno spot per il nostro calcio italiano?
«No. Chi è andato via, come Mexes e Aquilani, non è un traditore. E io non ho scelto per patriottismo».
E’ stato chiamato anche da club italiani? 
«Si, mi hanno cercato e nonostante fosse un onore per me ho sempre risposto che sarebbero stati l’ultima scelta, per un discorso di rispetto. Poi, se non si fosse trovato l’accordo con una squadra estera…».
Che cosa non l’ha convinta nei progetti delle altre?
«Mi convincevano, eccome. Anzi volevo ringraziare tutte le persone che mi hanno chiamato. Quelle all’estero sanno che farò il tifo per loro. L’importante è che mi è andato bene il progetto della Roma»
Ha firmato senza clausola. E se tra un paio d’anni fosse la Roma a dire che De Rossi non fa più parte del progetto, come la prenderebbe?
«Ci può stare, ma mi devono cacciare via. L’età passa e il fisico può avere problemi. Ma come si fa a parlare di cose che accadranno tra tre anni. Il parassita a Roma non lo farò»
E’ vero che è stato decisivo l’intervento di Pallotta?
«Ho conosciuto un uomo ambizioso che non è venuto a perdere tempo. E simpatico. E’ stato lo stesso quando ho parlato con DiBenedetto. Ma il merito più grande va a Baldini, Sabatini e Fenucci».

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