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LA REPUBBLICA Zeman: “Basta con le liti e le urla voglio soltanto fare calcio”

Zeman

(A. Carotenuto) Zeman infila cinque parole decisive dentro lo spazio di un’ora, sei sigarette e molti sorrisi. «Io voglio solo fare calcio». Con le rughe di un vecchio capo sioux offre il calumet della pace. Dopo le farmacie e le Borse. Lui. Il nemico. Il profeta. Il martire. Il cavaliere. L’eretico. L’uomo a cui è facile porgere la parola Juve per farlo scattare. Basta. Zeman pianta queste cinque parole nel terreno avvelenato del calcio italiano, e ora vediamo chi le vuole innaffiare. Ha gli occhi di Noodles-De Niro che torna a casa in “C’era una volta in America”. Che cosa hai fatto in tutti questi anni? Sono andato a letto presto. Noi sette anni senza Zeman, lui sette
anni senza serie A.

Zeman, poi arriva la Roma. E lei dice: è la mia ultima occasione. Non ci credeva più?
«È che mi sento vecchio. Non ho più voglia di strillare. Fra poco smetterò. Dicevo di voler arrivare a 80 anni, non a questi livelli».

Torna in alto dopo Foggia e Pescara. Cosa le mancava lì?
«Semmai cosa manca alla A. Lì c’è più calcio giocato. Meno discussioni. Meno litigi. Qui gli interessi disturbano».

Brutto, sporco e cattivo. Il calcio italiano è questo?
«L’immagine è questa. A me dispiace. Sono qua da più di 40 anni, mi sento italiano, abbiamo perso credibilità nel mondo».

Come se ne viene fuori?
«Il calcio è un gioco? Allora giochiamo. Che sia uno sforzo di tutti».

La Roma americana l’ha chiamata per nostalgia o per costruire un futuro così?
«Non mi sono fatto questa domanda. Da tanti anni sento la Roma come la mia squadra».

Giocare. Ma lei è diventato un’icona dell’anti.
«Se in passato ho detto qualche parola in più, è stato per difendere il calcio. I suoi valori».

Non si riconosce allora nella descrizione dei “vecchi anti-juventini militanti” fatta da Agnelli?
«Non ho mai avuto problemi con la Juve. Io dormo tranquillo. È la Juve che si sente sempre attaccata. È ossessionata. Se nessuno si accorge della situazione in cui si è infilato il calcio, è difficile che lo possa spiegare io».

Subito isteria. Cosa pensa del Napoli che diserta la premiazione di Supercoppa?
«Penso che c’erano precedenti, se è vero che la Juve non s’è presentata quando perse con la Lazio. Non si accetta la sconfitta. Che in Italia non si sappia perdere, si sa. Il punto ora è che non si sa nemmeno vincere ».

Ci possono salvare i giovani?
«Ci sono i presupposti per dargli fiducia. Molte squadre lo faranno per necessità, sono felice che alla Roma sia per scelta».

C’è anche una nuova generazione di allenatori: Montella, Ferrara, Stramaccioni. Chi si avvicina alle sue idee?
«Le mie idee… Ognuno abbia le sue. Tanti ne hanno una in partenza, ma dopo una partita persa la cambiano. Ai nostri tempi si arrivava in A quando avevi dimostrato qualcosa in B. La gavetta serve, lo penso ancora».

Lei torna, ma manca un suo “allievo”: Delio Rossi. Che ha provato vedendo la scena dei pugni a Ljajic?
«Dispiacere. Non mi aspetto che un uomo di esperienza si faccia tirare dentro certe situazioni».

È lo stress, il male degli allenatori?
«È questo calcio pieno di discussioni e di litigi».

A proposito di colleghi. Le è mancato un confronto con Mourinho? Quanto siete diversi?
«Mourinho è fatto in un modo, così rimarrà. È un accentratore. Io sono più democratico».

Democratico. Invece De Rossi la credeva un musone.
«Così mi dipingono. Me lo tengo. Gli articoli non li scrivo io».

Si parlava di tensioni. È contento che De Rossi rimanga?
«Chi ha buoni giocatori cerca di tenerseli. Ma so bene che esistono pure il mercato e le esigenze delle società».

Di Zeman s’è detto: bravo coi giovani, con i campioni chissà.
«Mica alla Lazio o alla Roma ‘97 avevo gente scarsa. Oggi è diverso il primo approccio, perché fuori dal campo c’è Internet, iPhone, iPad, queste cose… Una volta i calciatori non potevano andare in discoteca. Oggi se uno non ci va, non è un calciatore».

Cos’altro non le piace dei calciatori oggi?
«Il calcio è diventato uno sport individuale. Vedi questi ragazzi con le cuffie, vanno con la loro musica. Prima si parlava».

L’individualismo è nei contratti. I bonus sono sbagliati?
«Se prometti l’incentivo per i rigori procurati, inciti alla slealtà. Quel giocatore entra in area e cercherà il rigore. Avremo più simulazioni ».

Trent’anni fa. Le piaceva la Roma scudetto di Liedholm?
«Gli altri facevano catenaccio e contropiede, Liedholm il possesso palla. Ma non è il mio calcio. Io ho meno pazienza».

Meno paziente anche di Guardiola?
«Il Barcellona mi piace. Ma non è il mio calcio. È la grande qualità dei giocatori che gli permette di essere quello che è».

E il gioco fatto da Luis Enrique?
«Giocava come il Barcellona non avendo i giocatori del Barcellona».

Ma quale altro allenatore al mondo fa il suo stesso calcio?
«Non conosco nessuno».

Totti è sempre il più grande calciatore italiano?
«Ha portato per 15 anni la Roma sulle spalle. Chi fa una cosa del genere, ha qualcosa di diverso. Qualcosa
di più grande. Ha giocate che in Italia non ha nessun altro».

Lo convincerà ad accettare qualche panchina in più?
«Io?».

Lei.
«Io spero che giochi sempre perché conosco le sue qualità. Il campo dimostrerà se sono nel giusto, se lui è nel giusto».

La parola Zemanlandia le piace?
«Sì. Sa di festa. Sono contento che esista ancora».

Se dovesse comprare un biglietto, quale partita andrebbe a vedere?
«Roma-Lazio. O Milan-Inter. O Genoa-Samp. Un derby. Le partite più belle sono quelle belle sugli spalti. Gli stadi vuoti sono tristi. Non c’entra la tv. La gente s’è allontanata per la violenza».

Ma dalla Roma di Zeman cosa bisogna aspettarsi?
«Tutto è possibile. Spero dia soddisfazioni ai tifosi. Che si comporti in modo positivo. Vince, non vince: sono cose meno importanti».

E dai giovani?
«Destro deve farmi vedere quanto è forte. E poi aspetto Romagnoli. Un difensore. Ha delle doti. Che le

mostri».
Verratti, Immobile, Insigne. I suoi tre gioielli di Pescara. Chi è più pronto?
«Verratti fa cose che si vedono in pochi campi, ma Insigne ha qualche qualità in più perché fa anche gol».

La Juve è favorita?
«Così dicono. Ma i risultati non si fanno a tavolino».

Chi può insidiarla?
«Quelli che partecipano. Si parte tutti da zero punti».

Non tutti.
«Ah, le penalizzazioni. E ancora ne arrivano…».

Tre vecchie frasi. La prima: “I perdenti spesso insegnano più dei vincenti”. La seconda: “Il calcio si chiama gioco perché non si sa chi vince”. La terza: “Non vincerò mai lo scudetto”. Ce n’è una che non vale più?
«La terza. Anzi, credo di non averla detta mai».

Era il gennaio 1994. Vigilia di un Juve-Foggia.
«Strano. Non avevo motivi per dirlo. Ho sempre giocato per vincere, e se si perde pazienza».

Zeman, si può battere la Juve senza essere un suo nemico?
«Voi fate grossa confusione. Pensate che io sia nemico della Juve».

Non lo è?
«Sono nato juventino. Vestivo la maglia bianconera quando avevo un anno. Ora non faccio il tifoso, sono tifoso delle squadre che alleno. Ma non ce l’ho con il nome di una squadra. Io sono nemico delle persone che fanno male al calcio».

Domani all’Olimpico l’aspettano in 50mila.
«Ma non aspettano Zeman. Aspettano Aesse Roma». 

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