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IL MESSAGGERO “Roma a vita”

L'arrivo di Castan

(U. Trani)«Io indosso questa maglia perché conosco la storia della Roma: con i brasiliani ha vinto e anch’io voglio riuscirci». LeandroCastan, 25 anni, sceglie la tradizione. La sua prima squadra vera è stata l’Atletico Mineiro e a Trigoria, ormai quasi trent’anni fa, si presentò un altro dal club di Belo Horizonte.«Cerezo, grandissimo campione». Il nuovo giallorosso, a differenza di Toninho che era nato nel Minas Gerais, è di Jau, stato di San Paolo. «Paulista come Cafu. Romanista e capitano della Seleçao che alzò la nostra quinta coppa del mondo a Yokohama». Non c’è da spiegargli molto. Nella sua prima intervista della nuova avventura ricorda quello che fecero «Falcao», il Divino che riportò lo scudetto nella capitale dopo 41 anni dal primo, «Aldair e Zago», anche loro campioni d’Italia, e «tanti altri». «Ora ci sono Marquinho, incontrato da avversario, Lucca e Taddei che ho conosciuto qui, oltre a Dodò che è stato mio compagno nel Timao. Insomma mi sento a casa. Posso parlare portoghese e ambientarmi senza difficoltà. Avete capito perché sono venuto qui?».

Certo. Non può però bastare il passato della Roma, il legame fortissimo del club giallorosso con il calcio brasiliano. Avrà avuto anche altri buoni motivi per accettare il trasferimento nella capitale?

«Almeno due. Innanzitutto per l’ingaggio: sono stato accontentato economicamente. Difficile non dar peso alla proposta che mi è stata fatta: ottima. E io devo pensare anche alla mia famiglia. Non è vero che i soldi non contano. Con questo contratto sono più tranquillo. Cosa fondamentale per rendere al meglio».

E il secondo aspetto?

«La voglia di venire in Europa. Anzi di tornare dopo l’esperienza negativa in Svezia con la maglia dell’Helsinborg. Mi piace il calcio del vostro continente e in particolare quello italiano. Non capisco perché qualche campione sia andato via. La vostra serie A rimane un torneo di prima fascia. E non è vero, in vista del mondiale che ci sarà nel nostro Paese, che i brasiliani stanno rientrando alla base. Tornano solo quelli meno giovani».

Come mai andò male, cinque anni fa, all’Helsinborg?

«Non trovai l’ambiente che mi aspettavo. Anche perché non rispettarono gli impegni presi quando fui acquistato. Colpa del mio manager, meno male che ora mi segue mio papà Marcelo. Non ebbi un buon feeling nemmeno con la società svedese, conseguenza di quelle discussioni con il mio agente».

Era venuto in Europa troppo presto, magari soffrendo di saudade?

«No, anche se avevo solo ventuno anni. Mi sono innervosito per quelle promesse non mantenute, giocai poco e segnai solo una rete, in Europa League quando agli ottavi fummo eliminati dal Psv».

Torna per prendersi una rivincita?

«Perché? L’anno scorso ho vinto il campionato e, contro il Boca Juniors, ho appena alzato la Libertadores sempre con il Corinthians».

Una curiosità: come mai non ha nemmeno una presenza nella Seleçao?

«Non so come mai. Menezes ha preferito puntare su altri difensori. Ma la situazione potrebbe cambiare: lui e i suoi collaboratori hanno seguito me, Ralf e Paulinho durante la Libertadores. Può darsi che ora il nostro cittì stia cambiando idea».

Quali differenze esistono tra la difesa di Zeman e quella del Corinthians?

«Mi sono inserito alla grande proprio perché si gioca con la linea a quattro e con la stessa compattezza che avevamo noi, nel Timao, con il centrocampo. I movimenti sono simili».

Può giocare solo da centrale?

«E’ il mio ruolo fin da bambino. In emergenza mi sono spostato a sinistra. In partita e non da titolare».

Quando ha saputo dell’interessamento della Roma?

«All’inizio di aprile. Mi avvertì mio padre. Erano venuti a seguirmi e avevano iniziato a parlare con il Corinthians. Durante la Libertadores abbiamo definito l’accordo».

Chi conosceva della Roma?

«La squadra. Per la qualità dei suoi campioni. Ne ho avuto la conferma durante la tournée. Siamo competitivi e possiamo giocarcela con qualsiasi avversaria. In tv avevo seguito i calciatori più rappresentativi, Totti e De Rossi, e ovviamente sapevo che c’erano tanti brasiliani».

È vero che il punto di riferimento, nella sua carriera, è sempre stato Juan?

«Sì. Come giocatore e anche come persona. Lo considero un idolo per le qualità tecniche e anche come uomo. Grande professionista. Un esempio, con Lucio, per tutti i difensori del nostro Paese».

Quindi è un peccato che non vi siate ritrovati alla Roma?

«Mi dispiace molto che sia andato via. Pensavo di poter imparare ancora tanto allenandomi con lui. Sarebbe stato bello per me».

Avverte il peso dell’eredità di un campione come Juan?

«Sono orgoglioso di prendere il suo posto e spero di fare anch’io una carriera come la sua nella Roma».

Sabatini ha la possibilità, se vuole, di prendere anche il suo connazionale Uvini: che cosa sa di lui?

«Poco. L’ho affrontato solo una volta».

Chi è, attualmente, il miglior difensore al mondo?

«Thiago Silva. Non solo perché brasiliano. E’ il più bravo da tempo».

Anche Dodò viene dal Corinthians: è davvero così bravo?

«Sì. Ho giocato poco con lui, ma è andato forte con il Bahia. Quando mi sono allenato con Dodò ho visto che ha un gran bel fisico, è veloce e tecnico. Purtroppo ha avuto un grave infortunio che ha momentaneamente interrotto la sua crescita. Ma sono convinto che sarà utilissimo alla Roma».

La lingua può rappresentare un problema in campo?

«E’ chiaro che cercherò di imparare in fretta l’italiano, ma finora non ho avuto alcun problema, con Burdisso parlo spagnolo, con gli altri mi faccio capire. Mi aiutano i brasiliani».

La sua famiglia quando arriverà nella capitale?

«A Ferragosto. Mia moglie Bruna è incinta. Ma lei e Gabriel, due anni, vivranno subito con me a Roma dove nascerà il nostro secondo figlio. Anche mio papà, ex difensore centrale, è felicissimo. Mio fratello Luciano resta a San Paolo: gioca in seconda divisione con il Bragantino»

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