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CORRIERE DELLO SPORT. Ciao grande Lino maestro di tutti

Lino Cascioli

(L.Ferrajolo) – Gli ho telefonato pochi giorni fa, sapevo che non stava bene, ma l’ho trovato sereno e lucido come sempre.  In due minuti mi ha fatto il bilancio della sua vita. «Sono un uomo molto fortunato, ho fatto il lavoro che amavo sempre in grande libertà, senza piegare la schiena. Ho avuto una bella famiglia, dei nipoti, la stima di molti amici. Non potevo chiedere di più». Ieri, all’alba, Lino Cascioli se n’è andato in pace con se stesso, con questa straordinaria serenità che mi aveva colpito. E’ stato un grande giornalista, ma non solo: anche un uomo colto e un osservatore attento. Ci siamo conosciuti facendo scintille. Lui per il Messaggero, io per il Corriere. Lui già affermato, io giovane rampante e smanioso. Le scintille scoppiarono in Messico, ai mondiali dell’86. Lino non aveva solo una prosa elegante ed efficace, era anche o soprattutto uno straordinario cronista. Io non ci stavo, in quei giorni Bearzot era misterioso, dava un po’ i numeri, tra noi giornalisti si accese una rivalità eccessiva, tutti cercavano di capire che formazione avesse in mente il ct. Lino aveva buoni canali e amicizie importanti, per me appena arrivato era più difficile e Tosatti ogni giorno mi tempestava di costosissime telefonate: insomma ci scontrammo parecchio per dare mezza notizia in più. Qualche anno dopo, questa sana rivalità si sciolse in un’amicizia sobria ma affettuosa e piena di reciproca stima. Lino aveva sì una prosa elegante e incisiva, che nasceva da studi severi e da una cultura superiore, ma era anche uno tosto. Ai Mondiali dell’82 fu con De Cesari tra i critici più severi di Bearzot e di quella nazionale che non ingranava. Poi l’Italia cambiò marcia di colpo e ricordo ancora, come se fosse oggi, nella tribuna del Bernabeu i volti increduli e un po’ pallidi di Lino e De Cesari nella notte della finale. Con Bearzot, che era un po’ rancoroso e non dimenticava facilmente, arrivarono persino alla querela, poi, ovviamente, risolta con una stretta di mano. Lino era un giornalista di classe, ma si era laureato in lettere e diventò il preside più giovane d’Italia.  Nel frattempo scriveva su Momento Sera e sul Tifone, quando Tuttosport gli offrì tre volte lo stipendio che gli dava la scuola, non ebbe dubbi e il giornalismo diventò anche la sua passione. Dopo Tuttosport, passò al Messaggero, il suo vero giornale, per il quale ha scritto reportage memorabili e al quale ha regalato scoop preziosissimi. Negli ultimi anni, la sua acuta rubrica sul nostro giornale. Ma , per quanto amasse il calcio e lo sport più in generale, non ha mai smesso di coltivare il suo interesse per la cultura e per l’arte. Così, chiusa la sua stagione al Messaggero con un certo anticipo, fondò una casa editrice che ci ha regalato libri e volumi preziosi, non solo ispirati dal mondo sportivo. L’altra grande passione di Lino è stata la Roma, una passione sbocciata da ragazzino a piazza Vittorio, dove giocava a pallone e riempiva le giornate non facili: suo padre non aderì al fascismo e il regime gli tolse la cattedra di Storia del Cattolicesimo, obbligandolo quasi alla clandestinità. Lino in quei giorni difficili capì due cose: che non bisognava mai piegarsi e che la Roma sarebbe stata la sua passione. L’ha vissuta sino alla fine, inventandosi il premio «I cavalieri della Roma» e scrivendo le sue riflessioni, sempre acute e pungenti, sul nostro giornale. L’ultima ieri mattina, a pagina dodici, mentre ci salutava per sempre.

 

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