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GAZZETTA GIALLOROSSA Discusso e santificato, Sabatini abdica tra capolavori e fallimenti

Walter Sabatini
Walter Sabatini

(D.Luciani) – Sei stagioni, undici sessioni di calciomercato. Un fiume di parole nelle semestrali conferenze stampa. Mai banale, a volte criptico, parabolico, esagerato. Walter Sabatini è stato il primo direttore sportivo della Roma presieduta da una proprietà straniera. Ha speso molto, ha incassato di più. Ha valorizzato gli assets della società, ponendo una firma indelebile nella valorizzazione della stessa. Con l’ufficialità del divorzio consensuale, dopo sette mesi di dichiarazioni dimissionarie, si separano le strade di un conoscitore di calcio attivo h24 per la Roma. I responsi delle sue scelte li ha dati il campo. Una Roma costruenda con Luis Enrique, sulle montagne russe con Zeman, nell’oblio della sconfitta il 26 maggio 2013. Una Roma con tanta voglia di rivalsa con Rudi Garcia, uno spirito scemato nel corso dei due anni e mezzo vissuti dal francese sulla panchina giallorossa. Infine il richiamo di Spalletti per puntare nuovamente a sfidare Juventus e Napoli.

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Rose costruite e demolite senza soluzione di continuità da stagione a stagione. Da Josè Angel a Bruno Peres, da Vucinic a Vainqueuer. Primi e ultimi giocatori entrati e usciti. Lo spogliatoio di Trigoria ha ospitato quasi 200 giocatori diversi. Sabatini ha provato a fare grande la Roma, renderla vincente. Gli è riuscita una squadra competitiva a cui è mancata sempre la terra sotto i piedi nello scatto davanti all’ultima salita. Zero trofei. Una macchia indelebile agli occhi dei tifosi romanisti. Ripercorriamo le sue migliori operazioni con una finale sottolineatura a quelle riguardanti i giocatori del vivaio giallorosso.

TOP TRE

1 – Sul gradino più alto del podio non va una singola compravendita ma l’atteggiamento che la Roma ha assunto nel calciomercato sotto l’egida di Sabatini. Esclusa la prima sessione di totale rifondazione e l’ultima in cui si è puntato solo a rinforzare la difesa, la Roma è stata sempre in prima fila. Nessuno le ha messo i piedi in testa sui giocatori puntati. Balzaretti e Destro erano i due oggetti del desiderio di tutta Italia nell’estate 2012. L’anno successivo il colpo a sorpresa Strootman e a gennaio il braccio di ferro vinto con Juve e Napoli per Nainggolan. Bianconeri battuti in extremis anche su Iturbe, che all’aeroporto cambiò il biglietto aereo da Torino a Roma. La forza nell’imporsi su Salah. Nel mercato la Roma ha potuto sognare e ha preso giocatori di livello internazionale.

2 – Al secondo posto poniamo la capacità di investire cifre su giocatori poi rivenduti con notevoli plusvalenze. Il miglior esempio rimane Marquinhos, preso con l’assenso di Zeman, valorizzato dal boemo e ceduto con un utile netto di 25 milioni. A seguire, e a scendere, le operazioni Benatia, Lamela, Bradley, Borini e Dodò: giocatori con cui Pallotta ha potuto sborsare molto meno del previsto di tasca propria. Senza dimenticare l’affare principe: 45 milioni incassati dal Milan per Romagnoli e Bertolacci, due ragazzi di prospettiva ceduti con valori più che gonfiati.

3 – Tra plusvalenze e continue rivoluzioni ha portato la rosa della Roma a crescere in qualità e personalità stagione dopo stagione. Quella dello scorso anno, messa tra le mani di un Garcia a corto di idee, era in grado di lottare con la Juventus. Ne è dimostrazione il gran girone di ritorno fatto da Spalletti dopo gli innesti di El Shaarawy e Perotti.

FLOP TRE 

1 – La gestione dell’area sportiva, il continuo rimpasto, la mancanza di continuità nella costruzione della rosa. Tre elementi determinanti che non hanno mai portato la Roma ad essere una squadra – non una società – con certezze basilari. Ai vari allenatori è mancata spesso una mano decisa di un dirigente capace di tenere in riga lo spogliatoio. L’esempio più lampante è arrivato lo scorso anno nella sconfitta in casa della Sampdoria quando, nonostante il risultato, Sabatini rincuorò i giocatori e Garcia. Senza parlare di Montella – a cui venne preferito Luis Enrique per dare un “taglio netto con la precedente gestione” – e di alcuni giocatori che potevano essere importanti, soprattutto nella prima stagione: Juan, Pizarro e Borriello i primi tre nomi lasciati andare a cuor leggero.

2 – Acquisti incomprensibili, a volte dannosi per la squadra. Non parliamo di scommesse perse come Kjaer (improponibile nel modulo a difesa alta di Luis Enrique) o Ashley Cole, né di giocatori presi per volere degli allenatori come Josè Angel, Goicoechea, Tachtsidis o Bastos. Ci riferiamo a investimenti totalmente sconclusionati e ipervalutati: 15 milioni per Doumbia, i 4,75 di prestito per Ucan, i 3 milioni regalati al Catania per sei mesi di prestito di Spolli e per l’acquisto di Gyomber, i 3 milioni spesi per la giovane testa calda Radonjic. Francamente non ci sentiamo di incolparlo per Iturbe: se Sabatini non fosse riuscito a prenderlo, molti tifosi della Roma ne avrebbero chiesto la cacciata a Pallotta. Se il giocatore ha deluso le aspettative non può essere interamente colpa dell’ex direttore sportivo.

3 – La gestione del vivaio: dopo l’approdo di Florenzi e la breve parentesi di Romangoli, i ragazzi della Primavera hanno avuto solo fugaci apparizioni in prima squadra. Barba, Viviani, Caprari, Verre, Federico Ricci, Mazzitelli, Politano, Pellegrini, Somma. Ragazzi che hanno seguito un loro percorso lontano da Roma e sono arrivati in Serie A e in B. E’ vero, nessuno di loro ancora oggi può essere titolare in una squadra che ambisce allo Scudetto ma rimane davvero difficile da capire perché si siano lasciati andare mentre poi veniva acquistata una vagonata di stranieri: dal milione per Nico Lopez ai 17 per Gerson passando per Lucca, Svedkauskas, Marin, Vestenicky, Berisha, Golubovic, Mendez, Machin, Anocic. I 5 milioni investiti per lo sfortunato Nura e per Sadiq rappresentano una cifra pesante: il centravanti, spedito in prestito a Bologna, poteva rimanere a crescere alle spalle di Dzeko, che quest’anno non ha un sostituto. Poteva essere richiamato Sanabria ma i 7,5 milioni pagati dal Betis Siviglia (+50% futura rivendita e clausola di riacquisto) hanno fatto troppo gola. Ponce, più grande di un anno di Sadiq, aveva necessità di giocare stabilmente.

I risultati di Allievi e Primavera degli ultimi anni all’apparenza danno ragione a Sabatini ma più dell’80% delle squadre vincenti sotto Coppitelli, altro tecnico dal roseo futuro lasciato andare, e Alberto De Rossi sono composte da ragazzi italiani portati a Trigoria sin da piccoli da Bruno Conti e il suo staff.

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