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ILPOSTICIPO.IT La Roma è una polveriera: parole, numeri e dati di una crisi

Totti
Totti

(A. Stabile) – Errori di mercato, scarsa personalità, disorganizzazione. I malanni della Roma, ormai cronici, non guariscono mai: la squadra giallorossa sembra sempre a un passo dallo spiccare il volo e poi ricade in errori atavici, spesso facilmente individuabili ma mai risolti. La cura sul campo di Spalletti, nei primi cinque mesi del 2016, pareva aver sistemato quasi tutto e invece la Roma si ritrova a fare i conti con una pesante eliminazione dalla Champions League e due sconfitte in campionato dopo appena sei settimane nella nuova stagione.

LA CRISI DELLA ROMA: TANTI SOLDI SPESI MALE – Le opinioni sulla crisi della Roma possono essere soggettive, ma esistono dati inconfutabili sui quali riflettere. Negli ultimi 6 anni il club giallorosso, passato in mani americane nel 2011, ha speso 535 milioni in operazioni di calciomercato (fonte Cies, accreditato centro di studi sul calcio con sede a Neucthatel). Soltanto la Juventus (618 milioni), in Italia, ha speso di più dei giallorossi. Potrebbe essere una nota di merito che sbugiarda i disinformatori patentati che parlano di una proprietà americana “squattrinata”. In realtà è anche la certificazione di errori a ripetizione: la Roma spende male i suoi soldi perché i risultati non arrivano.

ATLETICO MADRID E NAPOLI SPENDONO MENO E VINCONO – Il Napoli, che da un anno ormai è sistematicamente davanti in classifica alla Roma, negli ultimi 6 anni ha speso quasi 100 milioni meno dei giallorossi vincendo due Coppe Italia e una Supercoppa Italiana (e giocando oggi la Champions League, al contrario della squadra di Spalletti). La Roma invece non conquista alcun trofeo dal 2008. Allargando l’osservatorio ai cinque campionati più importanti d’Europa, notiamo come Atletico Madrid (517 milioni) e Bayern Monaco (435) dal 2010 abbiano speso meno dei giallorossi per l’acquisto dei calciatori, ottenendo risultati di altissimo livello sul campo. Scorrendo la classifica dei 20 club più spendaccioni dal 2010, soltanto la Roma (nona), il Tottenham (undicesimo con 457 milioni) e il Valencia (diciottesimo a quota 341) non hanno vinto nulla nelle stagioni considerate dallo studio del Cies.

IN EUROPA LEAGUE LA ROMA SI È SANZIONATA DA SOLA – L’ultimo calciomercato giallorosso è stato, per certi versi, paradossale: Sabatini si è affrettato a cedere un big (Pjanic) per evitare sanzioni Uefa, ha comunque chiuso il calciomercato giallorosso in passivo di una trentina di milioni, ma alla fine la Roma ha inserito nella lista dell’Europa League solo 22 giocatori su 25 a disposizione. In pratica ha continuato a sanzionarsi da sola: l’anno scorso infatti la confederazione europea aveva punito i giallorossi costringendoli a ridurre la rosa per la Champions da 25 a 22 uomini. A questo punto sembra più coraggiosa, seppur rischiosa, la scelta dell’Inter che ha iscritto soltanto 21 giocatori per l’Europa League, ma ne avrà altri quattro di livello (Joao Mario, Gabigol, Jovetic e Kodogbia) a disposizione per competere in campionato.

ALISSON E GERSON, 24 MILIONI IN PANCHINA – Sempre in tema di mercato la Roma ha speso 24 milioni per due calciatori, Alisson e Gerson, presi a gennaio senza l’avallo di Spalletti, che si stava appena insediando. E infatti Alisson e Gerson siedono quasi sempre in panchina. Che dire poi della scelta azzardata di ingaggiare giocatori come Fazio, Bruno Peres e Vermaelen a ridosso del preliminare di Champions perso malamente con il Porto? Si sapeva da mesi che quella sfida sarebbe stata fondamentale per la vita della Roma, eppure è stata affrontata affidandosi a giocatori arrivati da pochi giorni (Vermaelen, espulso all’andata, e Bruno Peres, disponibile soltanto nel ritorno) o inadeguati (Juan Jesus, titolare in entrambe le sfide, Emerson Palmieri, disastroso nel momento del bisogno, e Iturbe, in crisi da due anni). La panchina della Roma sembra più una collezione di figurine stracciate che una risorsa per raddrizzare le partite iniziate male: ieri, contro il Torino, accanto a Spalletti sedevano Alisson (bocciato dopo il ritorno di Szczesny, che peraltro sta soffrendo, per ora, il dualismo col brasiliano), Juan Jesus (da tre gare finito tra i rincalzi dopo errori estivi a ripetizione), Paredes (ancora acerbo), Iturbe (il vero mistero di questa Roma, alla luce delle ultime due tragiche stagioni), Gerson (impiegato per 45 minuti contro il Viktoria Plzen e poi bollato da Spalletti con un lapidario «le partite sono queste e su questi campi se non sei bravo a prendere in mano le situazioni loro si buttano al di là dell’ostacolo con anima e corpo») ed Emerson (altro mistero giallorosso, avallato da Sabatini e da Spalletti, che però da qualche settimana non prende quasi più in considerazione il brasiliano).

TERZINO SINISTRO, DOVE SEI? – L’infortunio di Mario Rui e il fallimento sulla fascia sinistra di Juan Jesus ed Emerson Palmieri, disponibili ma per ora bocciati, hanno costretto Spalletti a spostare Bruno Peres a sinistra con il ritorno di Florenzi nel ruolo di terzino destro. Checché ne dica Sabatini («per me è meglio di Dani Alves», copyright dell’11 novembre 2015), Florenzi là è un “adattato”. Il risultato è che la Roma continua a schierare contemporaneamente due terzini con carenze enormi in fase difensiva. E infatti contro il Torino Bruno Peres è stato responsabile di due gol granata mentre Florenzi ha preso alcuni “buchi” incredibili.

IL MALUMORE DI TOTTI – A questo si aggiunge il malumore di Totti, che puntualmente esce fuori nei momenti di difficoltà. «Spalletti è stato un uomo piccolo. Punto. È la verità – le parole di Ilary Blasi, moglie del capitano giallorosso, riportate oggi alla Gazzetta dello Sport – lui a parole ha detto anche delle cose stupende, ma a parole. Invece lo subisce». Eppure, al di là dell’emotività e del tifo, la gestione tecnica di Totti da parte di Spalletti sembra la migliore: il numero 10 della Roma, pungolato e provocato alla soglia dei 40 anni, ha tirato fuori l’orgoglio ritornando a segnare con continuità e a servire assist.

Oggi, più che mai, risuonano come un monito inquietante le parole di Sabatini, che cinque anni fa sembravano fuori luogo, ma che oggi diventano attualissime: «Francesco deve capire la situazione – disse il direttore sportivo romanista il 2 settembre 2011 a proposito di alcuni attriti con l’allenatore di allora, Luis Enrique – oggi può darsi che Totti sia più utile alla Roma con 20 partite che con 30. Deve mantenere il sorriso anche per aiutare i nuovi. Il tecnico deve essere sereno nelle sue scelte. Nel calcio moderno non possono esserci giocatori intoccabili. Questa situazione sta uccidendo la squadra: tutto viene ovattato da questo problema. Totti deve sopportare le esclusioni in un’altra maniera».

IL VUOTO IN SOCIETÀ – Come conseguenza il pensiero va, a ruota, verso il più grande deficit della Roma attuale: un dirigente forte che sappia di calcio, con carisma e personalità tale da “sbattere al muro” i giocatori nel momento in cui non danno il massimo o non lavorano per il bene del gruppo. «Io vi pago profumatamente, voi dovete stare zitti, sudare e vincere le partite», avrebbe dovuto urlare ieri negli spogliatoi di Torino o stamattina a Trigoria il presidente James Pallotta. Lui un po’ di forza comunicativa l’avrebbe, ma continua a seguire il club da troppo lontano, a 6.500 chilometri da Roma. E così, mentre Sabatini fa l’amico dei calciatori e il dg Mauro Baldissoni, sorridendo alle telecamere, dà la colpa alla cattiva comunicazione, il progetto giallorosso non va più avanti da due anni e mezzo (dal primo anno di Rudi Garcia), arenatosi in sabbie mobili che iniziano a far paura.

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