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GAZZETTA DELLO SPORT Usa e gioca. Tournée d’oro in America, una gara vale un milione

L’arrivo della squadra

(A.Frosio) – Gli aerei per gli Stati Uniti di questi tempi, e nonostante la crisi, sono pieni di italiani. Calciatori, anche. Per qualcosa di molto più serio, pur nel clima da amichevoli, della celebre partita tra tifosi della Roma e della Juve (con l’oriundo milanista Jerry Calà «Pio») arbitrata da Don Buro nella Death Valley in «Vacanze in America». In questi giorni quattro big del nostro campionato sono in America: Juventus, Milan e Inter parteciperanno alla International Champions Cup (tra San Francisco, Indianapolis, New York, Los Angeles e Miami), con Chelsea, Everton, Los Angeles Galaxy, Real Madrid e Valencia; la Roma, che negli States è di casa vista la proprietà, giocherà tre amichevoli a Kansas City, Toronto e Washington(e visita a casa di James Pallotta).

Quella Supercoppa 2003 La moda della tournée dall’altra parte dell’oceano ha ormai una decina d’anni di storia alle spalle: dimostrazione che i conti, per organizzatori e ospiti, tornano. Il primo boom ci fu proprio dieci anni fa, estate 2003. A fare da apripista furono Milan e Juventus (ma c’era pure la Lazio), che ai primi di agosto si trovarono al Giants Stadium per la «rivincita» della finale di Champions in Supercoppa italiana (e stavolta ai rigori vinsero i bianconeri). Per preparare la sfida del New Jersey, Marcello Lippi e Carlo Ancelotti portarono le loro squadre in giro per la East Coast, peraltro affollata anche da Manchester United, Barcellona, Celtic e Boca Juniors. Tutti lautamente pagati, tutti capaci di riempire gli stadi a stelle e strisce. Da allora, i più assidui frequentatori del continente americano sono stati i milanisti.

Milan aficionado Da Ancelotti a Leonardo fino ad Allegri, sono cambiati gli allenatori ma il gruppo rossonero è praticamente sempre andato negli Stati Uniti in tour estivo. Che può portare nelle casse circa un milione a partita. Senza contare il ritorno in termini di marketing ed esposizione del marchio. La Juventus, dopo il 2003, è tornata a varcare l’oceano con Antonio Conte nel 2011, forgiando il suo gruppo nel caldo da fornace di Philadelphia. Si direbbe che ha portato bene. E lo stesso può dire l’Inter, negli Stati Uniti nell’estate 2009: c’era ancora Ibrahimovic, che lasciò il ritiro americano per andare al Barcellona, arrivò Eto’o e i nerazzurri conclusero la stagione con il Triplete.Mourinho, per non sbagliarsi, in questi giorni è volato negli Usa con il Chelsea. E ritroverà proprio l’Inter a Indianapolis, il 2 agosto.

Figuracce Pazienza se poi viaggi non proprio confortevoli da una città all’altra – ma stavolta gli spostamenti sono meno disagevoli – provocano qualche figuraccia. Come quelle del Milan di Max Allegri l’anno scorso, quando un 1-5 con il Real Madrid a New York mandò su tutte le furie Adriano Galliani. Lo stesso Leonardo, che nel 2009 rimediò tre sconfitte su tre gare americane, si lamentò del calendario troppo fitto della amichevoli. Ma almeno in questo l’esperienza insegna: stavolta le italiane si presentano in America con circa tre settimane di lavoro nelle gambe. Abbastanza per evitare il problema principale: gli infortuni (come spiega a fianco il professor Ferretti). E sapendo che comunque, in questi casi, il cassiere spesso conta più dell’allenatore.

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