

Al sessantanovesimo Biava se ne va più triste di Sergio Cammariere al pianoforte. Presagio? Nei contenuti si, non negli episodi perché quello decisivo non arriverà. Cominciamo comunque da qui perché può essere questa l’istantanea che rende l’idea degli umori laziali dopo il pareggio di Totti e dopo il due a uno sfiorato da Florenzi. Certo poi è pure una questione di fasce: salda al braccio della Storia quella della Roma, da Ledesma a Radu quella d’oltretevere (a proposito: il Pontefice sarà pure laziale, ma nei derby il papa si chiama sempre Francesco) e sempre più se Robin Williams fosse stato laziale la frase simbolo de “L’attimo fuggente” sarebbe stata – Oh capitani, miei capitani…-. Tutto il primo tempo se n’era andato con il dubbio di parte romanista che fosse tornato Luis Enrique: il tiro in porta per la Roma più chimerico di una maggioranza di governo per Bersani, fino a che Totti non scaraventa verso la Nord tutta la voglia di supremazia cittadina che trova pronta la reattività di Marchetti. Si ricomincia da Marquinhos che si esibisce in un numero insospettabile: l’imitazione di Marco Lanna e beati i giovanissimi che leggendo non provano il brivido lungo la schiena. Sul dischetto va Hernanes, che si trasforma in discobolo alla fine della rincorsa: perfetto nello spiazzare Stekelenburg, supponente nella traiettoria da frisbee con cui annichilisce la Nord. E dire che aveva indirizzato il primo tempo pescando il jolly del vantaggio biancoceleste, con tutto il tempo di portarla dal destro al sinistro, mirare l’angolino alto, girare lo zucchero nel caffè senza che nessuno osasse uscirgli incontro. Stek la vede con un attimo di ritardo, più arrivare che partire, la mano guantata protesa un centimetro in meno del necessario.