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L’ex Scurto: “Ho smesso a 27 anni. Che ricordi a Roma con Bruno Conti”

Intervista de Il Romanista a Giuseppe Scurto, allenatore del Palermo Primavera ed ex calciatore della Roma, che però non ha avuto una lunga storia d’amore con i colori giallorossi:

Che effetto ti fa tornare?
«Mi farà piacere – e anche un certo effetto – ritrovare Alberto De Rossi, che è stato mio allenatore. Un grande, un punto di riferimento: è lì da una vita, ha sfornato un mare di giovani. Ero andato a salutarlo già 2-3 anni fa, quando era venuto a giocare a Palermo, stavolta ci giocherò contro. Ma a Roma da allenatore ci ero già tornato».

Con buoni risultati.
«Il primo anno c’era Muzzi, finì 1-1, il secondo perdemmo 1-0 contro i ‘98 che poi vinsero lo scudetto, ci segnò Tumminello, che fino ai Giovanissimi giocava proprio col Palermo. Una partita combattutissima: se lo avessimo avuto dalla nostra… Il terzo anno contro i ‘99, che erano fortissimi, perdemmo 3-0, lo scorso anno – in cui per la prima volta il Palermo ha chiuso davanti alla Roma, e di ben 8 punti, vincemmo 3-0 a Trigoria. Ogni volta che venivo, ritrovavo al campo Bruno Conti».

Il tuo ex allenatore.
«Il mio ex tutto praticamente: quando andai in Primavera era il responsabile, poi è stato allenatore e dirigente. Ho un ricordo ottimo, è una persona che stimo moltissimo. Tra i ricordi più belli che ho alla Roma, oltre ovviamente all’esordio in serie A, a San Siro, e a quello in Champions League, a Leverkusen, c’è quel rigore che segnai in Coppa Italia con la Fiorentina, quando era stato appena messo ad allenare la prima squadra. Arrivai a Roma dalla Sampdoria, mi aveva portato Franco Baldini, in tre anni ho fatto tre volte il ritiro con la prima squadra. Anzi quattro, anche quando andai al Chievo feci in tempo a fare la preparazione con Spalletti, venni ceduto il 31 agosto. Mi sono allenato con giocatori straordinari: Emerson, Samuel, Cassano, Montella, Batistuta, Candela, Cafu. Chivu e Mancini, che ho ritrovato al corso da allenatore. E Totti, il più forte di tutti, calciava in maniera impressionante, anche in allenamento. Ma non lo devo certo scoprire io…».

Gli avversari, invece?
«Andando via da Roma, il primo anno al Chievo giocai 19 partite, ero praticamente titolare. Facemmo 1-1 contro la Juve, in attacco avevano Ibrahimovic e Trezeguet. Battemo il Milan che schierava Shevchenko, c’era l’Inter di Adriano, la Fiorentina di Toni… a fine anno arrivammo quinti, grazie a Calciopoli facemmo il preliminare di Champions».

E poi?
«Mi feci male al ginocchio, quell’anno giocai 5 partite. Quattro nelle prime 4 giornate, prima di farmi male. A 16 anni, alla Sampdoria, mi ero rotto il crociato, una seconda volta con la Roma, allenandomi in prima squadra. Ma in entrambi i casi mi ero ripreso bene. Al Chievo avevo una cistite meniscale, e problemi alla cartilagine. Il legamento te lo ricostruiscono, la cartilagine no. Ho giocato altri 4 anni, in serie B, tra Treviso e Triestina, ma il ginocchio si infiammava di continuo. Terapie, infiltrazioni, antinfiammatori… Ero sceso di categoria, giocavo senza allenarmi».

Al Treviso c’era Bonucci.
«Io ero titolare, lui non giocava sempre. Mi sarà anche capitato di dargli le indicazioni, dirgli come dovevamo metterci in campo. Ma era normale: ero più grande, lui era appena arrivato, veniva dall’Inter Primavera. Ma si vedeva che era destinato a fare carriera».

Anche tu.
«Chiellini, con cui avevo vinto l’Europeo Under 19, giocava ancora sulla fascia: in quel 2004-05 ero l’unico difensore ‘84 che giocava titolare in serie A. E a fine anno andai a fare l’Europeo Under 21. Avevo fatto le Coppe con la Roma, c’erano prospettive interessanti, un po’ ci aveva creduto. Ma quell’anno alla Roma, e l’anno dopo al Chievo sono stati gli unici due in cui ho giocato senza dolori. Dopo la Triesina sono stato un anno fermo, per operarmi: un intervento complicato, doppio, per provare a sistemare la cartilagine. Ti prelevano i condrociti da un tessuto sano, mesi dopo te li reinseriscono nel ginocchio, dopo averli cresciti in vitro. Sette-otto mesi di riabilitazione a Bologna, all’Isokinetic. E non è bastato: avevo firmato per la Juve Stabia per tornare a giocare, ma non ci sono riuscito: ho rescisso dopo due mesi. Di fatto ho smesso a 27 anni. Ora ne ho 33, e da pochi mesi ho ricominciato a giocare a calcetto col mio staff: non me la sentivo di fare neanche quello».

L’università come è finita?
«Non ce l’ho fatta, ho lasciato. Avevo iniziato Scienze Politiche a Roma, poi ero passato a Teramo, doveva facevano un corso di Scienze Giuridiche manageriali dello Sport. Avevo fatto 11-12 esami, avevo passato metà corso. Tanti 30, qualche 28, avevo la media del 29, anche qualcosa in più».

Mai pensato di rimetterti sui libri, quando eri infortunato?
«Quando sei infortunato, lavori molto più di quando stai bene. Facevo otto ore al giorno di fisioterapia. E quando fai l’allenatore, non stacchi mai, stai sempre a pensare a nuove esercitazioni, nuovi modi per far bene il tuo lavoro. Quando fai il calciatore, e stai bene, quello è il momento migliore, in cui hai tempo per fare tutto».

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