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La Repubblica La ghigliottina di Monchi su Totti: sbattere la porta è una tentazione

Totti

(M. Pinci) Non c’è stato nessuno in questi anni a Trigoria che avesse il coraggio di dirlo senza troppi giri di parole. Mille miglia dall’Andalusia a Roma e alla prima conferenza, con l’aria di chi sta per dire la cosa più ovvia del mondo, Ramón Rodríguez Verdejo, per tutti soltanto Monchi, sibila una condanna senza appello: «So che Totti ha un accordo col club per diventare dirigente dopo questo suo ultimo anno da calciatore». Il sipario che cala improvviso su 25 anni di calcio romano. Per la Roma, l’era Totti finisce qui. Il problema è che Totti non lo sa: meglio, non lo sapeva. Perché lui una decisione non l’ha presa ancora: da una parte pensa di smettere, dall’altra non vuole abdicare così, senza un’emozione. Vorrebbe aspettare di sapere chi allenerà la Roma, capire se può ancora essere utile. Ma sul contratto siglato un anno fa era incisa a fuoco la data di scadenza della sua vita da atleta: «Questa è la sua ultima stagione sul campo», disse Pallotta. E da allora non ha (mai) cambiato idea.

L’eco attraversa le mura bianche di Trigoria come un “habemus papam” e raggiunge il mondo intero: persino il Bayern – che in queste settimane saluta la sua bandiera Lahm – mette mano a twitter per celebrare “la brillante carriera del Capitano”. Seguono le testate di tutto il mondo: “L’imperatore si ritira”. In realtà è la Roma che “licenzia” Totti. Affidando la ghigliottina a un uomo che da queste parti è arrivato da dieci giorni appena: come se gli altri fossero troppo immersi nella realtà per sostenere il peso di quella sentenza. In qualche forma, l’annuncio firmato dall’uomo nuovo, il dirigente a cui la Roma ha affidato l’ambizione di “ganar”, vincere, dopo anni di frustrazioni, ha ricordato un altro “uomo nuovo” arrivato per inseguire successi: Andrea Agnelli, nel 2011, approfittò dell’assemblea dei soci per dire al mondo che le strade della Juventus e di Del Piero si sarebbero separate. All’insaputa di Alex, che ne soffrì. È così, evidentemente, che s’arrotola la bandiera da mettere in uno stanzino. La sorte ricompensò lo juventino con uno scudetto atteso 6 anni (9, escludendo quelli di Calciopoli). Chissà se il coraggio di Monchi sarà premiato con la stessa moneta. Certo Agnelli era il presidente di quella Juve. La Roma invece il peso del divorzio l’ha caricato sulle larghissime spalle dell’ultimo arrivato: magari anche a Totti capiterà di chiedersi perché non sia stato Pallotta, in visita a Roma giusto un paio di mesi fa, a parlargli delle intenzioni della società. Coinvolgendolo, magari.

Giocare altrove è un’ipotesi già scartata: l’avventura terminerà il 28 maggio all’Olimpico contro il Genoa. Nei giorni successivi magari una festa al Circo Massimo. Sì, ma poi? Totti ha un contratto di 6 anni da dirigente: ballano cifre importanti, 3,6 milioni netti nel periodo. Ma come Del Piero, e come Maldini, l’orgoglio potrebbe suggerire strade alternative. Per questo, Totti non esclude un divorzio ancora più rumoroso: definitivo. Ascolterà che ruolo vuol proporgli la Roma, magari il direttore tecnico. Ma sentirà pure sirene lontane: la Fifa, la Figc (magari per la Nazionale), il Coni, in tanti pensano a lui. Incarichi troppo istituzionali non gli piacciono: ama l’odore del campo, sentirsi coinvolto in un progetto in cui la sua esperienza può essere utile davvero. E andarsene è una tentazione più forte della prospettiva di lavorare fianco a fianco con chi gli ha sbattuto la porta in faccia. Eppure, una mano tesa a Trigoria Totti l’ha trovata già. «Chiedo che Francesco possa starmi vicino per imparare da lui cosa è la Roma, sarò fortunato se imparerò anche l’1% di quello che può insegnarmi lui», la carezza di Monchi. L’ultima scialuppa per non chiudere questa storia senza un giorno da ricordare.

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