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Il Tempo Stadio della Roma. Tutti i segreti del no della Soprintendenza

(F.M. Magliaro) Soprintendenza Belle Arti contro tutti. Per la soprintendente, Margherita Eichberg, lo Stadio della Roma non s’ha da fare proprio. Il parere- unico fra tutte le Amministrazioni dello Stato – è di «motivato dissenso non ravvisando le condizioni nella sua ammissibilità nel sito proposto».

No a ponti, torri, svincoli sottopassi, allo stadio stesso: l’area è sbagliata e lì semplicemente non si può proprio fare. Vediamo, allora, i motivi di tutti questi «no». In venti pagine a firma Eichberg, la Soprintendenza smonta i capisaldi del progetto: problema archeologico; compatibilità ambientale; interferenze con altre aree tutelate (Tenuta dei Massimi, Valle dei Casali e Villa Doria Pamhilj); alvei dei fossi; ippodromo; torri. La questione torri, visto il nuovo accordo fra la Raggi e la Roma con cui si depennano dal progetto, è superata. Come la questione vincolo sull’ippodromo, il cui iter è partito ma non è incluso in questo parere. Ad ogni buon conto, torri a parte, le riserve vengono avanzate anche per l’altezza (70 metri) dello Stadio. Capitolo archeologia: scrive la Eichberg che non è stata fatta l’«archeologia preventiva» in un’area «di alto interesse» per la presenza di strade antiche (Ostiense, Campana e Laurentina), siti funerari e complessi abitativi.

«Il progetto risulta concepito senza la cognizione effettiva dei valori e delle problematiche legate alla conoscenza del territorio» e «non contiene alcuno studio archeologico se non la relazione della lettura archeologica» dei sondaggi geologici. Dopo una seduta della Conferenza quasi interamente dedicata al problema archeologico, solo a gennaio 2017, si trova un minimo di soluzione per capire chi dovrà fare gli scavi. Saranno i proponenti ma solo dopo gli espropri. Tutto bloccato quindi, con la Eichberg che alza la voce sostenendo che allora la Conferenza si dovrebbe chiudere. Niente messa in sicurezza del Fosso del Vallerano: mentre l’Autorità di Bacino del Tevere non vede l’ora, per la Eichberg le opere danneggiano la «morfologia naturale del fosso» e producono «effetti non controllabili che incidono sulla qualità dei suoli».

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