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LA REPUBBLICA Sabatini lascia: “Totti è un tappo alla crescita dei compagni”

Sabatini
Sabatini

(M. Pinci) L’epoca del calcio “immaginifico” tramonta facendo posto a quella delle statistiche all’americana. L’addio di Walter Sabatini è interrotto solo da qualche tiro di sigaretta (altro che smettere di fumare, come chiedeva Pallotta): da oggi sparirà. «Non farò viaggi studio, mi cerco una tana, mi ci chiudo con i pennelli». La sua eredità passa al fedelissimo vice, Ricky Massara, ma a tempo: «Non so che altre valutazioni farà la società». Mentre parla le sue assistenti Alessia, Rosangela, Barbara, Manuela, assistono commosse. «È mancata la convocazione al Circo Massimo e mi ha provocato tristezza cupa», lo scudetto insomma. Si era illuso pure Sabatini, come migliaia di romanisti. E ora saluta: «La proprietà ha altre idee, cerca l’algoritmo vincente. Io sono un etrusco crepuscolare e solitario e credo solo a quello che vedo e sento. A volte sbaglio e prendo Piris, ma l’avere supera il dare». La vulgata vuole che i rapporti tra intuito e scienza naufragarono un anno fa, quando i fedelissimi di Pallotta proposero Magnanelli del Sassuolo con questa premessa: «Sbaglia meno di Strootman». Sabatini se ne va dopo aver scoperto che lo scetticismo alle sue spalle gli impediva di comprare il 20enne Boyé, finito al Torino. Invece ha ancora il 40enne Totti. Era «il sole che tramonta sui tetti di Roma», oggi 5 anni dopo «Totti è allo Zenit. Ma la sua luce abbagliante oscura gli altri. È un tappo che comprime la crescita del gruppo». Ovviamente basta questo a dimenticare che Sabatini a Totti darebbe «il Nobel per la fisica, perché le sue geometrie in campo mettono in discussione Keplero e Copernico».

Con Sabatini va in archivio il mitico “progetto” del 2011. Anzi, la “rivoluzione culturale” inaugurata dalla nuova proprietà. «È il mio fallimento: volevo cambiare la mentalità, invece ancora si perde e si vince alla stessa maniera. La vittoria è vissuta come una possibilità, non sono riuscito a farla diventare una necessità». A presentare la rivoluzione erano stati Luis Enrique, Thomas DiBenedetto, Franco Baldini, Claudio Fenucci e Walter Sabatini: se ne sono andati tutti senza vincere nulla. Ma il vero fallimento – strategico più che sportivo – lo evidenzia il bilancio. Il 60% dei ricavi sono ancora i diritti televisivi, persino oltre la media della serie A. E l’84% dei 219 milioni di fatturato arrivano dall’attività sportiva: soldi delle tv e ricavi dalle partite. Gli americani promettevano di far crescere marketing e sponsorizzazioni: le ultime due voci oggi producono 10 milioni, meno del 5% delle entrate. A tenere viva la Roma, lo dice il bilancio, sono e saranno le plusvalenze. Frutto di quel profeta del “mercato rissaiolo” che da ieri non abita più a Trigoria. Ma che coltiva ancora il sogno di tornare.

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