(M. Pinci) Bastano 40 secondi. Francesco Totti è uno spettro che aleggia sull’Olimpico per 85 lunghissimi minuti. Ottantacinque minuti di apnea, in cui la Roma perde con il Torino giocando come fosse uno di quei mesi d’inverno con Rudi Garcia in panchina e nemmeno un’idea in campo. Poi, in tre minuti, Totti cambia tutto. E forse le liti, le urla, le delusioni, le panchine e la rabbia degli ultimi mesi servivano per questo. Per quei 180 secondi che regalano un vero happy end al film di una carriera lunga 23 anni. Se lo ricorderà a lungo Francesco Totti questo Roma-Torino. Il giorno in cui è tornato con due gol a trasformare una sconfitta in vittoria, con lo stadio in piedi per lui, qualcuno persino in lacrime. E forse se lo ricorderà pure Spalletti, che in un minuto scopre che un ko può rovesciarsi in un sorriso lunghissimo grazie al suo miglior nemico, o peggiore amico, fate voi.
Non s’era parlato che di loro due, dal pomeriggio di domenica all’inizio di Roma-Torino. “La Roma non è Totti”, aveva detto Spalletti presentando la partita: il campo gli ha inesorabilmente dato torto, se la cronaca di Roma-Torino può riassumersi agli ultimi 5 minuti. L’Olimpico che invoca quel nome, Totti, più o meno dall’inizio, ma la litania non convince Spalletti. Nemmeno quando Belotti si fa stendere da Manolas e segna su rigore, nel primo tempo. Nemmeno quando Manolas stesso pareggia, prendendosela ferocemente con Spalletti in panchina. Nemmeno quando l’arbitro Calvarese ignora un paio di rigori evidenti per la Roma. A smuoverlo è soltanto il gol con cui Martinez pare chiuderla per il Torino a 10 dalla fine.
A quel punto, sotto di un gol in casa e con l’incubo di vedere evaporare il margine di vantaggio sull’Inter quarta, pure l’allenatore si convince: tocca a Totti. Bastano 40 secondi, al numero dieci. Una zampata rabbiosa sotto rete, pari, ma è un gol che spacca la Roma: lo stadio corre a abbracciarlo e lui corre sotto la curva, la Roma tutta però gli volta le spalle in ossequio alla volontà di Spalletti: altro che festeggiare, andiamo a ribaltarla. Sembra impossibile, invece Perotti calcia e Maksimovic tocca con un braccio in area: attaccato al corpo, ma dopo averne negati due Calvarese cede. Rigore. Tutti guardano Totti, lui non si fa pregare e prende il pallone. Ne ha tirati in una semifinale europea e in un ottavo mondiale all’ultimo secondo, ma per tanti motivi questo è il più pesante di tutti. Nei piedi non ha soltanto i tre punti per la Roma. Ha l’occasione per dimostrare di aver ragione, di essere ancora un giocatore, e decisivo, a chi dall’America vuole mandarlo in pensione.
Tiro. Gol. Una doppietta a distanza di 465 giorni dall’ultima, sempre sotto la curva sud, nel derby dello scorso anno. Stavolta niente selfie, ma la dedica alla moglie tramite telecamera e l’abbraccio liberatorio di tutta la squadra: persino un sorriso dell’allenatore. Poi, i saluti allo stadio, a chiedere di farsi sentire: forse il congedo di chi sa che questa gioia rischia di essere l’ultima così vera, con la maglia della Roma. Eppure, quella festa che il capitano celebra senza sorriso ma con una rabbia da adolescente, è una liberazione per la Roma. Che fino al minuto 85 pareva rimasta nello spogliatoio di Bergamo, prigioniera di quella lite e della sottile pellicola su cui la tv del club aveva impresso i sorrisi forzati e la tregua recitata. Totti e Spalletti continueranno a non starsi simpatici, ma quella pacca sul collo dell’allenatore al campione che gli ha regalato una vittoria scacciapensieri è una mano tesa vera, dopo tanti sorrisi di plexiglas. Boston, avete un problema: la carriera di Totti («Emozione grande grande» dirà alla fine) che sembrava accompagnarsi silenziosamente verso il crepuscolo ha un sussulto: i gol con la Roma sono 303, quelli in serie A 247, e lui nessuna voglia di fermarsi. Il contratto scadrà a prescindere e nessuno lo rinnoverà. Per il dg Baldissoni “La chiarezza non manca, Francesco sa cosa pensiamo”. Lo vogliono dirigente. Ma ora è lecito pensare che a Boston abbiano torto.