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REPUBBLICA Spalletti-Sousa, il derby del gioco

Spalletti
Spalletti

(E. Sisti) – Signore e signori, seguiteci pure. Se riuscite ad evitare di finire a terra dopo un tackle con Gonzalo, alla vostra destra potrete ammirare gli sfavillanti “capolavori” del maestro Spalletti ultima maniera, influenzato dall’arte di San Pietroburgo. E qualora siate ancora in grado di voltare la testa dopo un contrasto aereo con Manolas, alla vostra sinistra siamo certi che verrete rapiti dalla meraviglia delle inusitate opere d’arte del maestro portoghese Sousa, frutto dei suoi tanti viaggi in Italia e di un breve esilio svizzero. Nell’ala calcistica del museo della modernità, un museo dinamico, capolavori e opere d’arte si fondono in curiose installazioni composte da undici elementi disposti secondo estri variabili, ognuno dei quali viene edotto con metodi altrettanto variabili dal genio dell’artista. Nella sfida tra Roma e Fiorentina, oltre al terzo posto, balla anche la supremazia della bellezza e della morbidezza nell’applicazione dei moduli. Mentre le due si affrontano, c’è odore di colla e di collage, di flessibilità, di tecniche in continua evoluzione, ma si vedono anche i vasetti in cui gli artisti hanno sbattuto il rosso d’uovo per ottenere colori all’antica: vecchi metodi casarecci molto Liedholm e mai del tutto tramontati («se la palla ce l’abbiamo noi devono venire a prendersela… »). Producono calcio tra arte classica e strategie sperimentali, usano pennelli e fiamme ossidriche, cartacce e pongo, fil di ferro, libri di poesie e altri oggetti comperati al mercatino (di gennaio). E i risultati, pur con qualche disappunto europeo, sono confortanti su entrambi i fronti. Squadre divise da un sottile guado semantico: «Noi siamo un capolavoro», dice Spalletti, «loro un’opera d’arte». Sousa fu il primo che Spalletti citò come modello al suo ritorno: «La prima a colpirmi fu la sua Fiorentina. Non capisci mai se gioca a 3 a 4 a 5». Questo il segreto dell’opera d’arte? «Sì, se la squadra ha un senso, allora le sue interpretazioni possono essere centinaia. Per me un’opera d’arte è qualcosa di stabile nel tempo». Mentre la sua Roma è un capolavoro (e non un’opera d’arte) perché per capolavoro s’intende una somma di risultati “prestativi” inaspettati, un lavoro ottenuto in poco tempo ribaltando l’acido finale dell’altra gestione con nuova mentalità di gruppo e nuova flessibilità individuale: «Ora tutti fanno il loro mestiere, l’allenatore allena, il medico cura, il barista fa il miglior caffè e il magazziniere è l’unico che sa come lucidarti le scarpe». La Roma allargata e corretta fa capolavoro. «Ma loro hanno tutto da perdere e stasera conterà più per loro, noi solo intrusi», si nasconde Sousa, al quale non sfuggirà che il concetto di “opera d’arte intrusa” è puro dadaismo. Dove si somigliano Roma e Fiorentina? «Nell’avere “universali”, gente intercambiabile per istinto e perché vogliamo comandare il gioco». Capaci di giocare di punta o in punta di penna (per creare momenti di versi). E Bernardeschi e El Shaarawy? «Sembrano due gocce d’acqua». Sì, certo, acqua velenosa però, che scorre sulla fascia.

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