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REPUBBLICA I pezzi unici di Florenzi, il giocatore senza ruolo ma che li sa fare tutti

Florenzi
Florenzi

(A. Carotenuto) – Una faccia pasoliniana, 600 chilometri corsi a stagione e solo gol bellissimi. Ecco il prototipo del giocatore moderno.
Se la rovesciata contro il Genoa poteva essere un caso e il colpo da metà campo al Barcellona solo un indizio, il gol di controbalzo all’Udinese dopo un dribbling volante si presenta come una prova definitiva e inconfutabile. C’è qualità nel corpo ossuto di Florenzi, figurina da sottoproletariato del pallone che nasconde invece intuizioni da scienziato. È una macchina con un motore da 600 chilometri l’anno: ogni tanto la Roma apre il cofano e scopre che dentro c’è pure un regalo. Il gol prodigioso fa parte della mercanzia di Florenzi alla pari di una corsa senza fiato sulla fascia, peraltro la stessa dove un tempo esercitava Cafu col suo sorriso. Come Sergi Roberto al Barça o come Lahm al Bayern, Florenzi gioca (quasi) ovunque. È terzino, mediano, mezzala destra, ala destra e ala sinistra (tre volte: con Leverkusen, Verona e Palermo), unica posizione questa da cui non ha fatto gol. Corre, crossa, tira, vede il gioco, sa quando tagliare. Gli manca il tackle: ce ne faremo una ragione.

I jolly sono sempre esistiti, ma i Florenzi (e i Sergi Roberto) sono altro. Sono il simbolo di questo calcio così evoluto, o comunque molto cambiato, dove alle ali già da tempo istruite a fare i terzini, si sono aggiunti portieri che giocano con i piedi e difensori centrali che toccano cumuli di palloni, nell’età classica riservati solo ai registi. Florenzi rappresenta sia questo “spirito dei tempi” sia l’annuncio di uno sviluppo successivo, di quel che possiamo aspettarci in futuro: giocatori che sappiano forzare i modelli, portando il calcio oltre gli schemi noti. La fine della specializzazione: quel territorio in cui il tuo punto di forza diventa il tuo limite. Il rischio è sembrare ovunque fuori ruolo, il vantaggio è non esserlo mai, nemmeno quando si sbaglia a scalare in marcatura o a chiudere una diagonale, perché questa anomalia produrrà un vantaggio nell’altra metà del campo. Quale sia il ruolo naturale di Florenzi, adesso non lo sa più nessuno.
Accade già in altri sport di squadra. Nell’anno in cui Stephen Curry «sta cambiando la percezione del suo sport» (New York Times) con i tiri da metà campo, con pochi muscoli e appena 191 centimetri d’altezza, portando il gioco oltre una frontiera e un pregiudizio, il basket si sforza di cercare sempre più spesso l’universale, chi sappia muoversi “dentro” e “fuori” l’area, un lungo che giochi sul perimetro, o la forza fisica da convertire in regia. La pallanuoto ha scoperto l’anomalia di Bodegas, italo-francese che gioca – semplificando – da centravanti e stopper, nella stessa partita e spesso nella stessa azione. Sparigliare significa eludere il controllo.
Florenzi è il calciatore che sta portando il campionato italiano in questa modernità, dove 100 milioni si spendono per Bale, un terzino, poi ala, trequartista e finto centrattacco. È il più pasoliniano dei giocatori d’oggi, per via d’una faccia fra le «tetre, belle, dolci, di una dolcezza animalesca precristiana » (PPP) che dopo il gol si tiene fra le mani; per quella corsa dalla nonna che vive a Ostia, e perché senza il pallone avrebbe fatto il barista a Vitinia, dove passò a piedi scalzi Abebe Bikila, chilometro 16 della maratona di Roma ’60. Perciò se un giorno arriverà un Curry a stravolgere equilibri e fisiologia del calcio, forse sarà più simile a un Florenzi che a un numero dieci come lo conosciamo oggi.

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