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IL TEMPO Ve lo racconto io chi è Francesco, il campione della porta accanto

Totti
Totti

(P. Torri) – Il Colosseo. Fontana di Trevi. Il Campidoglio. I Fori. Piazza Navona. Alberto Sordi. E Francesco Totti. Questo è stato e continuerà a essere, nonostante tutto quello che è accaduto nelle ultime ventiquattro ore, il capitano della Roma. Una stella polare per intere generazioni di tifosi giallorossi, compreso chi vi sta scrivendo. Con Checco sono andati in cameo, fieri e orgogliosi, tutti i ragazzi romani, dalle borgate al centro storico, che al nome ‘Roma’ sentono un friccico nel core. Con uno spirito di identificazione che è andato ben al di là di qualsiasi vittoria.

Noi c’avemo Totti, un mantra che ci ha accompagnato negli ultimi venticinque anni, senza che mai potesse essere messo in dubbio, tanto meno barattato con uno scudetto o una Champions. Perché Francesco, e qui uso una frase sin troppo abusata, è stato (e sarà) davvero uno di noi, l’amico con cui andare a tirare due calci al campetto vicino a casa, il ragazzo della porta accanto capace di non farsi venire nessun tipo di puzza sotto il naso neppure di fronte alla ricchezza, alla popolarità, al successo più sfrenato, il compagno di Curva con cui gridare ‘Forza Roma’.

E’ stata (e sarà) una storia meravigliosa. Unica. Irripetibile. Perche io, ahimè, un altro cosi non lo vedrò più con quella maglia giallorossa che mi fa friccicare er core, ancora oggi che i sessanta sono a un passo. Non è stato soltanto il campione, il capitano, il punto di riferimento, uno straordinario numero dieci e un meraviglioso numero nove, una duplicity di classe che nella storia del calcio è stata di pochissimi, forse Alfredo Di Stefano, forse Valentino Mazzola, forse Johan Crujff, forse basta. Ha rappresentato molto, molto di più. Una rivincita, noi c’avemo Totti, per una città e una tifoseria che non e che abbiano una frequentazione assidua con la vittoria. Un modo concreto per dire ‘ma che ce frega e che c’importa, se l’oste al vino c’ha messo l’acqua’, noi c’avemo Totti.

Un orgoglio sbattuto in faccia a tutti quelli che hanno sputato su questa meravigliosa città, i suoi cittadini. Una città che con i suoi cittadini ha inventato la civiltà, noi c’avemo Totti. Un esempio di generosità, noi c’avemo Totti. Come, per esempio, giusto per ricordare un episodio, qualche anno fa il capitano dimostra in un ospedale di Pescara acquistando per una cifra intorno ai centoquarantamila euro due macchinari necessari alle cure per i bambini malati di cancro. Un simbolo che, nonostante quello che per anni hanno detto i suoi stolti denigratori, e andato ben al di là del Raccordo Anulare, ha girato il mondo. Quando mi è capitato di incontrare qualcuno vestito con la maglia della mia Roma, sulle spalle invariabilmente aveva il numero dieci. Un fuoriclasse che ha sempre anteposto la sua romanità alle lusinghe dei club più importanti del mondo, a cominciare da quel Real Madrid che per anni gli ha fatto una corte serrata e sfacciata, come quando in occasione delle festività natalizie gli spediva come regalo, e lo ha fatto per anni, la camiceta blanca con il numero dieci e il nome Totti.

Un ragazzo, poi un uomo e un papà, che ha sempre guardato negli occhi chiunque gli si mettesse davanti. Per tutto questo, e molto di più, la rottura che si è consumata tra la serata di sabato e la mattinata di domenica, rappresenta molto di più dell’inimmaginabile. Una rottura che non mi ha trovato d’accordo, nei tempi e nei modi, ma che certo non mi ha fatto dimenticare quello che è stato (e che sarà) il capitano. L’auspicio è che, quando i cuori si saranno raffreddati, si possa tornare a un convivere civile. Per dare a Totti quello che è di Totti. Perche io, noi, voi, c’avemo Totti.

Fonte: Il Tempo

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