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CORRIERE DELLA SERA Ci sarebbe voluto un Totti con 3-4 anni in meno

Totti
Totti

(M. Sconcerti) – L’eliminazione della Roma riporta tutto l’argomento ai tempi del Mondiale. Netta la differenza con l’avversario, si torna a sentirsi piccoli. La Roma è da due anni una grande squadra in Italia dove ha perso solo 7 partite su 52, ma è scomparsa con regolarità automatica davanti al City e ha realizzato solo 5 punti in 6 partite europee. Non è un problema di tattica o di turn over, la Roma ha forte qualità tecniche e gioca in velocità. Diventa più prevedibile quando anche gli avversari hanno qualità. A quel punto vengono fuori i limiti, la mancanza di forza in attacco, la discontinuità di Pjanic e Keita, l’impreparazione di Maicon e Cholevas, la disponibilità generale a essere superati dalle triangolazioni veloci e fisiche degli avversari. Il City, il Bayern, perfino il Cska in alcuni momenti, sono stati più presenti sul campo, più forti e quadrati. Il calcio di oggi predilige, è vero, il calcio molto tecnico, ma fatto da quelli grandi e grossi.

La Roma di Ljajic, Iturbe e Gervinho, non è ancora europea, è spettacolare e magra, promettente e incompleta. Sarebbe servito un Totti con cinque anni in meno, una grande personalità nel cuore del gioco, qualcuno capace di tenere la squadra e che provasse a risolvere da solo la partita come tante volte ha fatto Totti.

Il problema è che Pjanic e Ljajic, come quasi sempre gli slavi, si avvicinano al fuoriclasse, ma non lo diventano mai. Ne abbiamo visti a decine incantare, risolvere, non insistere, non continuare. Così, alla fine della prima parte di strada la Roma scende in Europa League, dove diventa per definizione una delle favorite. In Champions resta solo la Juve, ancora una volta la più completa, la meglio addestrata. Per il nostro calcio è comunque un passo avanti rispetto al niente di un anno fa, ma pensavo che la ripresa sarebbe stata più evidente. Questa è solo la fine della deflazione. Rimane chiaro il messaggio che ancora una volta manda l’Europa: conta avere forza, non perdere il pallone sui rinvii, basare il conto sul talento che però è messo in piega dalla forza. Il calciatore è sempre più universale. Noi siamo ancora o bravi o forti. È la sintesi che fa il traguardo e noi non l’abbiamo, né con gli italiani né insieme agli stranieri. Perché per averla bisogna essere ricchi.

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