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IL MESSAGGERO Juan: “Castan il mio erede, Toloi è un talento”

Juan
Juan

(D. Gallerano) Allampanato, un po’ curvo, dal passo felpato come sempre, Juan arriva nel piccolo centro tecnico dell’Internacional di Porto Alegre per l’allenamento pomeridiano della sua nuova squadra, finalista del Campeonato Gaucho 2014. Brillante centrale difensivo della Roma dal 2007 al 2012, Juan parla del suo passato giallorosso a cavallo tra la gestione Sensi e la svolta americana.

Perché così tanti suoi connazionali scelgono la capitale?

«Perché è una città fantastica. Culturalmente parlando ha molto da dare a chiunque, giocatore di calcio o meno. E poi il clima: tra tutte le città europee, insieme a Barcellona, è quella dove c’è il tempo più simile a quello brasiliano. E poi naturalmente conta la tradizione della Roma con i giocatori brasiliani, che hanno sempre la porta aperta nel club».

La segue ancora? È impressionato dal rendimento della difesa giallorossa?

«La seguo a volte. Della difesa le posso dire che i grandi risultati dipendono principalmente dal nuovo sistema di gioco imposto da Garcia. Dal cambio di società in poi, lui è l’allenatore che ha dimostrato più coscienza di come funziona il campionato italiano. Ha avuto grande rispetto per le tradizioni del vostro calcio e questo ha avuto buoni riflessi in campo».

Più dei suoi predecessori?

«Sicuramente. Luis Enrique ha vissuto un anno difficile, successivo al cambio di società. In più non aveva mai allenato un club professionistico e questo si è sentito. Ha sofferto molto e la squadra con lui, soprattutto in trasferta. Per quanto riguarda l’anno scorso con Zeman… pur essendo rimasto pochissimo avevo già capito che le cose sarebbero andate male».

Perché?

«Perché i suoi metodi sono assolutamente inadatti al calcio italiano».

Quelli di Luis Enrique lo erano?

«È arrivato con una filosofia sua, ispirata a quella del Barcellona. È stato lento a capire come si gioca a calcio lì in Italia e ad adattarsi. Ma io sono sicuro che se fosse rimasto un anno in più avrebbe fatto un campionato molto buono, perché la sua filosofia di gioco era interessante. Gli è servito un anno per capire il calcio italiano. Ma io credo che al secondo anno lui sarebbe andato molto bene. Zeman no».

Il suo erede ora è Castan.

«Finalmente è tornato ai livelli del Corinthians. Quando la squadra funziona le individualità vengono fuori. Ha sofferto nella prima stagione, perché inserito in un sistema altamente penalizzante per un difensore, e adesso è tornato ai suoi livelli».

Merita la nazionale?

«Non credo verrà convocato. Oggi la Seleçao è piena di nuovi centrali giovani. La concorrenza è feroce, se consideri per esempio che tra le riserve c’è uno come Dante del Bayern Monaco».

Toloi come lo vede?

«Un giovane con grande potenziale. Ha sempre suscitato grandi aspettative, il suo primo anno al Sao Paulo è stato abbastanza buono. Per quel che conta a me piace molto».

Lei si è trovato meglio con Spalletti o con Ranieri?

«Con entrambi. Sistemi di gioco opposti, ma sono due allenatori che conoscono alla perfezione il calcio italiano e mi hanno fatto crescere molto. Con Spalletti ho fatto una prima stagione ottima, e il primo anno con Ranieri fu eccezionale».

Totti e Mancini non si parlavano?

«Non è vero. Cioè… nel calcio succede che due giocatori che si intendono bene in campo poi fuori non sono amici. Ma che proprio non si parlassero non è vero».

Si aspetta di vedere Totti in Brasile per la Coppa?

«Credo dipenda solo da lui. Non so se adesso ha cambiato idea, ma da quando lo conosco di nazionale non ha mai voluto sentir parlare. Ma se tornasse sarebbe ancora in grado di fare la differenza».

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