CORRIERE DELLA SERA Calcio, siamo campioni di scambi. Più debiti e ricavi tv, meno spettatori

Abete, Beretta, Malagò
Abete, Beretta, Malagò

(L. Valdiserri) – Come sta il calcio italiano? Il Report Calcio 2014, curato da Arel, PwC e Figc, presentato ieri nell’Aula polifunzionale della Presidenza del Consiglio dei ministri, lascia spazio sia agli ottimisti che ai pessimisti. Da questo mare di numeri — quasi tutti interessanti, molti a conferma di trend già conosciuti ma altri sorprendenti — esce un calcio italiano pieno di problemi ma ancora vitale, legato mani e piedi ai diritti televisivi però con margini di crescita che, non a caso, stanno attirando anche capitali stranieri. I debiti della serie A ammontano a 2.947 milioni di euro (+1,9% rispetto alla stagione sportiva 2011/2012) e, naturalmente, sono pari all’84% del totale delle passività. Allo stesso tempo, però, il calcio è un ottimo contribuente.

Come ha fatto notare il presidente della Figc, Giancarlo Abete, con un pizzico di polemica verso il «collega» Giovanni Malagò, presidente del Coni, il pallone, in sei anni, ha versato al Fisco «6 miliardi di euro e recuperato, tramite il Coni, 480 milioni ». Una risposta alle federazioni che chiedono una diversa distribuzione interna dei contributi statali. I debiti, nel calcio come in tutte le attività produttive, sono sostenibili solo se c’è, a fronte, una produzione importante. Il totale del valore della produzione del calcio professionistico italiano nel 2012- 2013 è pari a 2.696 milioni di euro, in crescita dell’1,3% . Il fatturato totale dei club europei di Prima divisione, però, nello stesso periodo è cresciuto del +6,9%. Purtroppo per il nostro pallone diritti tv e plusvalenze da cessione dei calciatori costituiscono, insieme, il 58% della produzione: rispettivamente il 38% (1.037 milioni di euro, in crescita del 4,6% rispetto al 2011-2012) e il 20% (536 milioni di euro).

Nel corso delle stagioni sportive 2011-2012 e 2012-2013 i club di serie A hanno portato a termine 2.533 trasferimenti di giocatori, circa il 46% del totale delle cinque maggiori Leghe europee (5.491). Il 51% rappresentato da prestiti, il 34% a titolo oneroso, mentre il rimanente 15% è costituito dai trasferimenti a parametro zero. I ricavi da stadio e i ricavi commerciali registrano invece una diminuzione, rispettivamente, del 4,1% e del 3,9%. Gli spettatori (-6,4%) calano da circa 13,2 milioni a 12,3 milioni. Le colpe? Stadi fatiscenti e maxi offerta tv, naturalmente. Il dato più preoccupante è il riempimento medio, che si attesta al 56%. Ecco perché i nuovi impianti, vedi il progetto della Roma, preferiscono misure «medie», con impianti tra i 40.000 e i 50.000 posti. È chiara l’idea di lasciare più spazio ai box per le aziende, ai palchi per vip e agli abbonamenti pluriennali. Altro che biglietti popolari e «terraces» con posti in piedi per chi vuole tifare alla vecchia maniera. C’è una meritevole riduzione del costo del lavoro (leggi: stipendi; -3,3% rispetto al 2011- 2012), ma il numero di tesserati per la serie A resta mostruoso: 1.127, una media di 56 per squadra.

Il leggero aumento della produzione e il contenimento dei costi ha comunque abbassato la perdita netta a 311 milioni di euro (-19,8%), il valore più basso registrato nell’ultimo quinquennio. «Il calcio con tutte le sue criticità — riconosce il presidente del Coni, Giovanni Malagò —resta il movimento che, dai 6 ai 16 anni, vanta un quarto di tutti tesserati dello sport italiano. I praticanti sono 1,1 milioni, l’8% di quelli che giocano a calcio in Europa. Fa rabbia che questi numeri favolosi non siano capitalizzati al meglio. Se migliora il calcio, migliorano lo sport, il Coni e il sistema italiano ».

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