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DOPO PARTITA La lettura dell’incontro di Paolo Marcacci

Destro Garcia

Mai dare per morto un attaccante di razza. È la sentenza delle aree di rigore di tutto il mondo, è il bilancio di un primo tempo che arriva dopo quarantatré minuti passati ad imprecare contro le circostanze che vedono Mattia Destro mancare più di una volta l’appuntamento con l’uno a zero, per un centimetro o una frazione di secondo di ritardo. Poi basta il calcio d’angolo giusto, con la traiettoria che rientra nel cuore dell’area, e Mattia sciorina in un istante il campionario che giustifica il suo valore: il braccio sinistro che schiaffeggia via il marcatore, il minimo sindacale di decollo, quel tanto che basta per impattare la sfera con la fronte, la torsione da bomber vero, col pallone telecomandato lì dove Da Costa capisce subito di non potersi allungare. Rabbia e orgoglio nell’esultanza, torso nudo e immancabile cartellino – senza il quale non sappiamo stare – una corsa di liberazione con la statua di cera di Sinisa sullo sfondo. Il tutto alla fine di un primo tempo piacevole e con poche pause, con la Sampdoria che rispetta le premesse del tecnico: non guardinga né tantomeno abbottonata, manovriera senza dimenticare di essere accorta, efficace nell’aprirsi e chiudersi a fisarmonica: anche in otto dietro la linea della palla quando la Roma preme, veloce nel distendersi in avanti con una discreta qualità: Eder, Soriano, Wszolek, l’infaticabile Gabbiadini. La Roma di capitan Benatia – De Rossi padre felice a riposo, auguroni – e del rientrante Nainggolan dai mille recuperi, fa capire subito una cosa, una di quelle che meriterebbe l’Olimpico stracolmo: è una di quelle serate in cui Pjanic mette lo smoking e dal suo portar palla scaturiscono note di pianoforte. Cartolina dal minuto ventisei: con un giro di caviglia Kevin Strootman serve un rasoterra a rientrare per la fuga di Gervinho sull’out sinistro, cui Gastaldello chiude la porta con un tempismo degno del miglior Pietro Wierchwood. Versione superaccessoriata del centrocampista completo, Kevin dal ghigno perenne, uno su cui edificare una Roma da Champions.
La Roma che sbuca dal tunnel per la ripresa ha, al pari della sua gente, la convinzione che la partita resta equilibratissima e degna della massima attenzione. Così è e così ricomincia, poi arriva la qualità, quella che sempre dovrebbe emergere, a sparigliare. Minuto cinquantaquattro, punizione dal settore sinistro. Pjanic battezza il palo protetto da Da Costa, il pallone è un sasso col minimo indispensabile dei giri, si arcua poco e si abbassa con perfidia, due a zero da restare a bocca aperta. Tre minuti con un sorriso più disteso e arrivano sigillo e suggello in un colpo solo, dopo ennesima percussione di Gervinho: Destro spalle alla porta lascia sfilare la sfera, con movimento da grande attaccante, si gira e punta la fiocina un centimetro sotto la traversa: tre a zero, che meriterebbe corsa d’altri tempi sotto la Sud, se questa non fosse un deserto figlio delle italiche ipocrisie. Nel frattempo, fuori Maicon, coscia sinistra lesionata e vedremo poi come: benvenuto Alessio Romagnoli; poi Benatia, altra punturina muscolare: De Rossi dentro, anche per sperimentare emergenze difensive. Nel frattempo, s’è mai fermato Florenzi? Non è nella sua natura, quando il motore gira a pieno regime. Si rivede Okaka, nella Samp, che poi presenta anche Obiang in luogo dell’affaticato Palombo. Passano minuti di rilassatezza e di ricerca di un risultato ancora più rotondo; Destro vuole il terzo alloro personale e per questo la standing ovation che Garcia gli regala al minuto ottanta l’accoglie con una smorfia di disappunto: bene, segno d’appetito. Entra Bastos e prova pure lui, con licenza di essere altissimo sulla fascia visto il risultato, la soluzione personale per sorprendere Da Costa. La Roma si diverte, con ritmi un poco più bassi, senza rilassarsi più di tanto; la Samp comincia a palesare frustrazione, pur senza sbracare; Gastaldello trova il modo di farsi cacciare per un fallo pericoloso quanto inutile su Nainggolan. Stasera è quasi tutto rotondo, a cominciare dal risultato e passando per le prestazioni personali; peccato per gli infortuni muscolari e, ribadiamo, per quegli spalti vuoti che hanno il volto lugubre dell’ipocrisia. Scalda il cuore di tutti il sorriso di Totti in tribuna: quando torni, Capita’?

Paolo Marcacci

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