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DOPO PARTITA La lettura dell’incontro di Paolo Marcacci

As Roma

Strane partite, quelle di coppa. Compresa questa coppa qua, che ogni volta sembra spostarci il traguardo qualche centimetro oltre le nostre previsioni, aspettative speranze,

Strane partite perché è abnorme il peso dell’episodio singolo e una prima mezz’ora di predominio territoriale si traduce facilmente in un rammarico in più, se non hai dalla tua una concentrazione costante e il gomitolo degli episodi ti si srotola contro. Se così importanti sono gli episodi, di conseguenza hanno un peso ancor più decisivo, nel bene e nel male, le prestazioni dei singoli; sopratutto di quelli da cui ti aspetti una maggiore facilità nel forzare il destino. Finché Pjanic e Ljajic restano in campo, l’estetica del palleggio e le carezze somministrate al pallone non danno mai la sensazione di poter indirizzare la serata. Del senno di poi son piene le fosse e lungi da noi voler anche soltanto ventilare l’ipotesi di un processo a Garcia: sarebbe un valido spunto per qualche amico cabarettista; ci chiediamo semplicemente come sarebbe andata se si fosse iniziato con il dinamismo di Florenzi a schiacciare i partenopei dal primo minuto invece dei guanti di velluto di Ljajic. È soltanto un esempio, dettato dall’amarezza e dagli olé dei sostenitori azzurri, creatori di nebbie artificiali, che scrivono un finale che la Roma non meritava e che tradisce una proporzione sballata dei valori in campo.

La Roma della prima mezz’ora aveva dato l’impressione di non sentire neppure le bombe del San Paolo, oltre che la certezza di attendere il varco giusto per piazzare un pesantissimo fendente. Una certezza che col passare dei minuti sbiadisce, fino a svanire nello sguardo incredulo di De Sanctis quando si ritrova di fronte Jorginho, materializzatosi dopo un corridoio sgombro di trenta metri.
Con Totti e Maicon la Roma più esperta è anche quella più sfiduciata, visto che si materializzano quando la partita ha ormai imboccato il suo piano inclinato.

E pensare dopo un minuto e venti secondi Mattia Destro poteva ammutolire Fuorigrotta in maniera quasi definitiva. Da giocatori ritenuti decisivi, è lecito pretendere che si comportino come tali; a maggior ragione lo era stasera, usiamo l’imperfetto perché la partita si è persa nella sua continuativa vaghezza, di minuto in minuto.

Poi c’è stato il fischietto di Rocchi, sintonizzato sul giallorosso fisso e intransigente a intermittenza, con la gamba che è tesa solo se il calzettone è romanista, per esempio. Ce la prendiamo con l’arbitro? No, però ci piace puntualizzare, cosa che nei prossimi giorni Garcia si troverà a dover fare più volte e con più d’un giocatore.

Paolo Marcacci

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