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LA REPUBBLICA Se uno stato rinuncia alla normalità

Salernitana-Nocerina

(G. Mura) – Domani si gioca il derby Paganese-Nocerina. A Pontedera, a porte chiuse. Fa un certo effetto sapere che una gara tra squadre di centri confinanti, nel Salernitano, vada in scena in provincia di Pisa, e per giunta senza spettatori. Ed è normale chiedersi perché. Perché forti timori per l’ordine pubblico dicono che conviene delocalizzare. E sia, ma questo ci porta ad altre riflessioni. Anche il derby di Roma prevede, come un rituale, episodi di criminalità, macro e micro, eppure non è mai stato spostato né a Genova né a Bari. Spostarlo equivarrebbe ad ammettere che non si è in grado di garantire la sicurezza per una partita di calcio e non sarebbe una bella figura, nei confronti dell’opinione pubblica non solo italiana.

Una partita di LegaPro suscita meno interesse di una di serie A, tanto più se questa coinvolge la capitale. Su Nocerae la Nocerina molto s’è letto, dopo la farsa con la Salernitana e le minacce degli ultrà, su cui un’inchiesta è in corso. Ma quale messaggio arriva allo spettatore neutrale? È un messaggio amaro, che suona come il famoso “fui-tevenne” eduardiano ripreso da qualche prete di buona volontà. La legalità non si può suddividerla inserie A, B e C, come il calcio. O c’è o non c’è. E la lotta all’illegalità va condotta sui terreni in cui prospera, non a qualche centinaio di chilometri di distanza, altrimenti, fatte le debite proporzioni, tanto varrebbe organizzare in Islanda un convegno sulla mafia. Che si gioch i a Pagani, o a Nocera, questa è la scommessa da vincere.

Per il calcio ma soprattutto per lo Stato. Che, con il campo neutro e le porte chiuse, fa sapere che questa scommessa non gli interessa, perché troppo rischiosa o utopistica. Non è, comunque, una punizione per gli ultrà o le teste calde di turno. Brinderanno e diranno “li abbiamo spaventati, adesso hanno capito chi comanda”. Il plurale si riferisce a prefetti, questori, poliziotti, dirigenti calcistici. A quelli che hanno deciso che sia meglio per tutti giocare a Pontedera. Ma forse è peggio. È la certificazione dell’impossibilità di essere normali. È la risposta, debole, che renderà più forte la sensazione di impunità.

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