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LA REPUBBLICA Tra battute e slogan la filosofia di Garcia per la Roma da record

Garcia esulta al gol

(M. Pinci) – Il più grande pericolo si corre nel momento della vittoria», sosteneva Balzac. Sarà per questo che il “filosofo” Rudi Garcia, francese come loscrittore della Commedia Umana e dominatore di un campionato sin qui cannibalizzato dalla sua Roma, teme il più classico dei testa-coda contro il Chievo che chiude la classifica: l’ultimo ostacolo sulla strada del record, senza precedenti, di 10 vittorie nelle prime 10 gare. «È la partita più difficile dall’inizio dell’anno», giura solenne il tecnico di Nemours. Solo l’ultima frase celebre di un professionista della panchina particolarmente a suo agio con le parole. La vittoria in campo una costante – 9 su 9 come la Juventus di Capello pre-calciopoli – quanto le frasi da destinare alla storia. Su tutte l’epigrafe sulla sfida alla Lazio: «Abbiamo riportato la chiesa al centro del villaggio », il suo modo per dire che quel successo ristabiliva soltanto l’ordine naturale delle cose. In fondo, Garcia non aveva dubbi neanche prima del fischio d’inizio: «Il derby non si gioca, si vince».

Un azzardo per tutti, non per chi solo due mesi e mezzo prima si era presentato a Roma guardando in faccia il pubblico infuriato e sibilandogli contro il più grave degli epiteti: «Chi ci contesta è laziale». Non lo scalfirono le critiche nate dopo quella frase, come non lo ha scosso l’infortunio di Totti, accolto citando addirittura Aristotele: «La natura odia il vuoto da quel Roma-Lecce che nel 1986 costò il titolo a Eriksson, primo insieme alla Juventus al fischio d’inizio e sconfitto 3-2 in casa da un avversario retrocesso. Storia simile a quella di Capello, che pareggiando sul campo del Venezia già in B disse addio al bis scudetto nel 2002. Un cerchio chiuso più recentemente da Spalletti, con l’1-1 in casa contro il Livorno ultimo in classifica, e costato il tricolore del 2008. Ce ne sarebbe abbastanza per dotare l’Olimpico e i 40 mila spettatori di corni e talismani. In più il Chievo è l’ultima squadra ad aver battuto la Roma in campionato, lo scorso 7 maggio, proprio nella capitale: e, come oggi, a dirigere la gara fu l’arbitro Peruzzo.

Inevitabile che anche monsieur Rudì ceda alla scaramanzia: «Non mi pare che la mia squadra ultimamente abbia battuto spesso il Chievo ». Il percorso netto di una Roma da record – miglior difesa della storia dopo 9 gare, insieme a Cagliari e Inter del ’66-’67, 23 gol fatti e più 13 punti rispetto a un anno fa – non può impedire però di pensare a quello di stasera come a un nuovo esame di laurea verso la corsa al titolo. Garcia giura: «Abbiamo ancora fame», la squadra ci crede (al punto che domenica ha festeggiato la vittoria di Udine stonando sul pullman un evocativo “la capolista se ne va”), l’allenatore però preferisce – anche fuori dal campo – giocare in difesa: «Il titolo? Siamo concentrati soltanto sul Chievo. Anche a Trigoria pensano tutti sia una gara già vinta, ma non è così». Intanto si affiderà al turnover, dentro Marquinho e fuori Florenzi, uno dei quattro – con Benatia, Castan e De Rossi – a rischio squalifica. Sperando magari che, contro cabala e ricorsi storici, torni a manifestarsi un pizzico di quella fortuna – già 6 pali colpiti dagli avversari – che ha accarezzato le sorti della sua Roma. «Ma la fortuna va provocata »: parola del filosofo Garcia.

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