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DOPO PARTITA La lettura dell’incontro di Paolo Marcacci

De Rossi

Forse per ritrovare una traiettoria simile, col portiere che può solo ripetere il folle volo di Ulisse, fino alle Colonne d’Ercole di un fremito di rete, dobbiamo tornare indietro di trent’anni, a quella volta in cui Michele Platini batté Tancredi per una effimera vittoria juventina che ebbe il solo effetto di rendere più saporita la festa di una Roma destinata al traguardo.
Miralem Pjanic, dalla Bosnia verso il mondo, passando per un Mondiale neonato che cicatrizza le ferite di Sarajevo, col pallone al piede fa lo stesso effetto che una grande attrice ottiene ad ogni accensione di cinepresa: ferma l’istante e lo consegna al ricordo.
Garcia, novello Coppola, lo libera dalla gabbia del dubbio e lui incede leggero, come se la maglia da gioco fosse il cappottino di taglio fine della Diane Keaton del Padrino, bellissima e un po’ incredula anche lei.
Dio, Dio del calcio, massaggia questa Roma dal quadricipite ai flessori, che lo meritano il suo crederci e il suo rimanere gelida di fronte alle minacce, come Morgan che apre la mano del destino per spalancare ancora di più gli occhioni di Pandev.
Se, Dio del calcio, avessi avuto il senso dell’anticipo del De Rossi di stasera, il mondo lo avresti finito di venerdì e avresti riposato dal sesto giorno, mentre noi ci godiamo l’ottavo di fila e un rigore come se fosse all’Australia e come se non ci fosse, raro rovescio sorridente di quella storia così unica che è la nostra.
Ora non resta che chiedere al sogno di sciogliere le briglie, come se viaggiasse su una biga trainata da Strootman e Maicon. Come andrà, andrà, godiamoci l’orchestra di Garcia e la sua polifonia di interpreti, di archi e di violini il centrocampo, l’insieme un organo che vibra per te e per me, che ci fa sentire uniti…No, aspettiamo.
Intanto se n’è andato Maradona, come fosse solo un signore di mezza età che gli somiglia. Finisce anche la musica del Napoli, dopo che Orsato decreta un recupero da fumata del Vesuvio in trasferta, ma è stata solo quella di un carillon che non rimane impressa, come le piroette di Insigne, stasera simile a uno di quei topolini a molla che alla fine Benatia ripone sul comò.

Paolo Marcacci

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