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DOPO PARTITA La lettura dell’incontro di Paolo Marcacci

Maicon

Molti di noi, ieri, avrebbero voluto essere Rafael. Ciò che per l’estremo difensore scaligero è stato un incubo a cielo aperto e sotto riflettori timidi, per i tifosi giallorossi è invece la prospettiva ideale dalla quale godersi delizie balistiche che impreziosiscono un pomeriggio da tre punti, cercati sin dall’inizio ma attesi con la giusta pazienza e consapevolezza. Rudi Garcia, camicia bianca da chansonnier e sguardo che trasuda convinzione, raccomanda attenzione fin dall’inizio della manovra. Il Verona di Mandorlini, giallo carbonara – fosforescente all’inizio, appassito alla fine -, è una pietanza tatticamente ben cucinata, con Donati a distribuire palloni, Halfredsson moto perpetuo e Jankovic e Martinho addetti alle marce alte sui lati. Non è il Livorno, ma questa è pur sempre la Roma. Il primo tempo se ne va con un tabellino pieno di occasioni con altrettante firme – da De Rossi a Florenzi, affamato di porta e non sempre lucido – ma anche con un sospetto: forse mancano, in alcuni frangenti e nonostante la vivacità di Gervinho in via di inserimento, gli strappi a freddo di uno che possa “aprire” la gara. Uno come Lamela, quello del Tottenham. Senza ironia, solo per rendere l’idea.

Proprio perché la Roma lo sa, insiste, caricata sulle spalle robuste di Strootman, protetta da De Rossi, accarezzata da Pjanic, presa per mano da Totti, come accade da quando tutti avevamo i capelli. E che Totti, persino da terra: ha ragione Jankovic, in un certo senso, che oltre alla maglia la fine del primo tempo vuole chiedergli anche la tibia e il perone. Poi la porta a spasso Maicon, sulla fascia sua e di tutto uno stadio che già si toglie il cappello: proprio da lì arriva l’azione da cui scaturisce il rimpallo che sgretola le impalcature che proteggono il balcone di Giulietta. Uno a zero e il bello, bellissimo, che deve ancora venire: viene su una piuma soffiata di destro da Pjanic, come fosse un’orbita di nuove ambizioni; torna con il piedino nuovo e sfrontato di Ljajic, che entra e comincia a pizzicare corde di estetica redditizia e funzionale al gruppo. Come vuole Garcia, incazzato fino alla fine se la tensione accenna a calare. Un pensiero finale, nel giorno in cui non c’era: la Sud logora chi non ce l’ha.

Paolo Marcacci

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