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ORA D’ARIA “Riflessioni sparse” di Paolo Marcacci

Ora d’aria di Paolo Marcacci

“Segna sempre Totti” è il tweet sintetico ed esplicativo con cui Roberto Baggio, mica Pinco Pallo, commenta il derby dell’altra sera. Fotografia della stagione (solo?) della Roma, del suo potenziale, di quello che è il suo punto di forza e la sua certezza. Da tifosi, siamo inorgogliti ed inebriati da una situazione che si rinnova di partita in partita, da un campione unico ed assoluto che già sappiamo essere irripetibile, per quello che ha fatto, che farà e per la durata epocale in cui ha distribuito i suoi capolavori. Se però ci calassimo, anche solo per un attimo, nei panni dell’attuale dirigenza, dovremmo accettare una riflessione che, volendo essere provocatori, dovrebbe far meditare irrevocabili dimissioni. Perché? Dopo due anni di gestione bancario-statunitense (neologismo orrendo, lo so), due progetti tecnici falliti prima con Luis Enrique poi con Zeman, quest’ultimo molto meno assistito e protetto del primo; la guida tecnica affidata ad un professionista serissimo ma allenatore per caso come Aurelio Andreazzoli, la garanzia di competitività della Roma, le sue residue speranze di un finale di stagione quantomeno decente continuano a gravare sulle spalle possenti e sui quadricipiti inesauribili di Francesco Totti. Alla sua classe, al suo valore assoluto, al suo essere giocatore che incarna valori del passato nell’agone del presente, la Roma di oggi deve esposizione mediatica, ritorno d’immagine internazionale, appetibilità pubblicitaria.  Cose che sono scontate per tutti noi, cui corre un brivido lungo le vertebre al solo immaginare il giorno in cui Lui deciderà che un triplice fischio sarà anche l’ultimo; ma che certo non erano nei piani di Sabatini né tantomeno di Franco Baldini nel momento in cui si sono insediati nei rispettivi ruoli di competenza: ogni volta che sono stati chiamati a parlare di Totti, hanno sempre incastonato nelle inevitabili lodi un piccolo accento critico, una puntualizzazione, un rilievo di sorta. Si è accodato anche Andreazzoli, da quando siede in panchina, ad esempio con l’irriverente (irriverente, sì) confronto con Di Natale di qualche settimana fa.  Tutto cominciò con l’ormai leggendario “pigro” di Baldini, rilasciato a La Repubblica nella prima intervista da dirigente incaricato ma cha ancora doveva arrivare, come ricorderete. Un vocabolo che un uomo così forbito e formato da buone letture non aveva certo scelto a caso.  Semplicemente, la sensazione che si ebbe fu subito che Totti non rappresentasse il perno della nuova èra, né che a lui si dovessero il rispetto e la tutela che si presumono scontati di fronte a un totem del genere. Il prode Luis, ciclista infaticabile, quello che sarebbe ancora qui se solo non avesse mollato (bisogna sempre aver buona memoria), non ci pensò due volte a tirarlo fuori contro lo scarsissimo Slovan Bratislava nel preliminare di un’embrionale Europa League che a due anni di  distanza resta l’ultima apparizione europea romanista.  Nel frattempo, sono arrivate le partnership commerciali e d’immagine di varia natura, le promesse sul futuro o futuribile stadio, l’ennesimo toto-allenatori cui ieri si è aggiunto il nome di Muzzi (sic); si continuano a moltiplicare i nomi di obiettivi di mercato che ad ogni giro di mappamondo Sabatini riesce a scovare, si aspetta il grande sponsor tecnico passando per una stagione autarchica che ingolosisce i collezionisti…Ma se in campo non avesse continuato a pensarci Totti e a risolvere le cose a modo suo la  figura sarebbe stata molto, ma molto più magra.  Una voce importante, nel bilancio che Pallotta e Unicredit dovranno stilare dopo questi due anni.

Paolo Marcacci
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