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L’AVVENIRE Per rifare il calcio italiano (e attirare di nuovo i tifosi) ci vogliono stadi nuovi

Stadio Olimpico

(I. Cucci) – Era un bell’andare allo stadio, una volta, quando non c’era pioggia, neve, vento o chissà quale altro evento atmosferico a fermarti. Era sempre domenica, come cantava Mario Riva, il signore del Musichiere che vidi sparire in una buca dell’Arena di Verona e nessuno l’ha più ricordato. Mentre era esercizio di bravura sapere i nomi di tutti gli stadi e anche chi fossero, quei personaggi che Ameri e Ciotti, e Provenzali – istruiti da Guglielmo Moretti e Roberto Bortoluzzi – citavano per far sapere dove fossero e chi giocasse quando il loro nome andava sostituendo il luogo.

Clamoroso al Cibali!”: adesso dovresti dire “Clamoroso al Massimino!” e chiaramente non è la stessa cosa, però è giusto ricordarli, i nostri eroi istituzionali, i Padri Fondatori. Talvolta con un brivido. Mettetevi nei miei panni: sono stato amico di Renato Dall’Ara (Bologna), Artemio Franchi (Firenze e Siena), Nereo Rocco (Trieste), Renzo Barbera (Palermo), Angelo Massimino (Catania), Oreste Granillo (Reggio Calabria), Dino Manuzzi (Cesena) – dico i primi che mi vengono in mente, Peppino Meazza l’ho solo sfiorato, buongiorno e buonasera – e il sentimento che provo quando metto piede nei loro templi non è rimpianto ma una serena nostalgia, risento le loro voci e m’immagino i loro commenti alle partite in una sorta di “Calcio decennio per decennio“.

Ma sì, era un bell’andare allo stadio, una volta, quando non c’era la paytv e c’erano invece più passione e competenza perché il calcio vero si gioca lì, l’altro è virtuale, fonte di chiacchiere accademiche da slow motion, da lettura labiale, primi piani su volti contorti e scarpette rosse, verdi, gialle. C’era ancora il Grande Torino – ne ero innamorato – e il Viale Tripoli mi portava – tagliando cumuli di macerie e case sventrate dalle bombe – al Comunale di Rimini che poi avrebbe preso il nome del mio insegnante d’educazione fisica, l’olimpionico Romeo Neri: due volte l’anno, prima di uscir di casa, le raccomandazioni materne “Se torni bastonato o stracciato ti do’ io il resto!”, perché il Rimini giocava col Cesena e il Forlì aspettando l’ora di mostrare la “renga”, una irridente aringa issata sulla cima di una canna da pesca, roba da faide romagnole. E più tardi, molto più tardi, le passeggiate domenicali – quasi processioni: lo stesso percorso della Madonna di San Luca – per andare al Comunale di Bologna (l’ex Littoriale inaugurato dai Savoia ma costruito dal cavalier Benito Mussolini che vi entrò a cavallo in mezzo a ali di folla e a Bologna cercano anche adesso di far sparire quelle foto compromettenti) profittando della partita per farsi anche un piatto di tortellini in brodo alla trattoria del Meloncello, prima dell’arco che introduce al portico che sale verso il santuario di San Luca.

Ho ricordi vivissimi ma m’impressionano dippiù le foto e i filmati di quei tempi, i tifosi con l’abito della festa, la camicia bianca e la cravatta, il bambino con la bandierina rossoblù tenuto per mano, e se pioveva una magia d’ombrelli neri dal parterre fino a mezza tribuna, e se nevicava c’erano anche tipi col colbacco comprato nel viaggio-premio a Mosca, paradiso sovietico in salsa emiliana. Poi è venuto il Comodismo: lo stadio disagevole, la pioggia fastidiosa, la neve pericolosa (!), i gradoni ghiacciati rischiosi per i glutei, i prefetti allertati, i questori allarmati, i carabinieri arrabbiati perché saltano il match e l’indennità di mille lire; no, tutti a casa, davanti alla tivù, al calduccio col wiskaccio (dedica di Nick Carosio a Lady Erminia). E addio al calcio vero.

Ci vogliono stadi nuovi, bomboniere con salottino e snack, tetti aprichiudi, sederini sul morbido: perché non si fanno? Che fine ha fatto la legge sugli stadi? Nessuno ha voglia di dire che i progetti sono fermi soprattutto perché prevedono sì la nascita di uno stadio nuovo, ma tutt’intorno decine di nipotini, owero villini a schiera, supermercati, cineplex, magari qualche alberghetto: insomma un giro di milioni che si può evitare tanto allo stadio non ci va più nessuno e si sente lontano un miglio l’odore della speculazione edilizia; ma no, non dirlo, che s’arrabbiano. Com’era bello lo stadio Giglio, poi la Reggiana è sparita, il burro s’è irrancidito, l’ultima volta in tv ho visto un tifoso lanciare sul campo un water… Mavalà. Ho visto sparire anche i sogni gratuiti, tipo quella gente che stava sui terrazzi e alle finestre dei palazzi aperti sul campo di Marassi, e così quella teoria di viandanti che attraversava il salotto di casa del custode per metter piede nello stadio di Venezia…Non sono decrepiti gli stadi ma i pensieri degli uomini che s’inventano un finto progresso per tirare a far vecchi soldi. Quella tragica sera, all’Heysel (ho in mente ancora un film di sangue e urla e il Brera accanto a me con le lagrime agli occhi) dettero la colpa alla struttura obsoleta dello stadio e invece c’erano bestie umane e gendarmi incapaci. Amen.

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