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AS ROMA Campo Testaccio, primo tempio romanista prigioniero di un parcheggio fantasma (VIDEO)

Campo Testaccio

Un impianto all’inglese con le tribune dipinte di giallorosso che ha ospitato la “Roma testaccina” degli anni ’30 e ’40, quella di Bernardini, Ferraris IV e Volk. Il Comune nel 2009 aveva consegnato lo spazio al Consorzio Romano Parcheggi, ma i lavori si sono fermati subito, giusto il tempo di spazzare via il campetto. Il sindaco Alemanno ha revocato la concessione, ma la società incolpa la burocrazia ed è pronta a fare ricorso. La vicenda di un luogo storico finito nel dimenticatoio tra scartoffie e ruspe.

Quello scavo ricoperto da erbacce e protetto da una grata di ferro ormai lo riconosce solo chi ha i capelli bianchi. Oltre settanta anni fa si chiamava Campo Testaccio, dal 1929 al 1940 qui giocava una squadra di calcio entrata nel mito: la Roma degli albori, la cosiddetta “Roma testaccina” di Fulvio Bernardini, Ferraris IV e “Sciabbolone” Volk. A poche centinaia di metri dalla piramide Cestia e la stazione Ostiense sorgeva lo storico stadio della neonata As Roma. Un impianto all’inglese, con le tribune in legno, dipinte di giallorosso e vicine al campo di gioco. Con le urla dei tifosi che finivano dritte nelle orecchie dei calciatori. Ancora oggi persino i tifosi nati cinquant’anni dopo la sua chiusura conoscono a memoria la canzone di Campo Testaccio. La intonano durante le partite della Roma, sia all’Olimpico che in trasferta. Un inno ante litteram che spesso si sovrappone a quello di Antonello Venditti. Dopo la demolizione degli spalti, nel 1940, l’ex teatro dei sogni dei tifosi giallorossi diventa un orto di guerra. Poi decenni di abbandono totale. Fino al 2000, quando il comune lo restaura al costo di un miliardo e mezzo di lire e lo consegna alla società sportiva As Testaccio. Nel frattempo, Roma adotta un Piano Urbano Parcheggi (Pup), un progetto pensato per dotare la città di parcheggi sotterranei che finora, però, è andato avanti con enormi difficoltà. Il comune di Roma inserisce Campo Testaccio nel Pup già nel 2006 – Giunta Veltroni – per poi approvare nel 2009 – con Alemanno sindaco – il progetto del Consorzio Romano Parcheggi, una società di costruzioni. I termini dell’accordo sono chiari: il Comune cede Campo Testaccio al privato per 90 anni in cambio di un milione di euro, il privato realizza l’opera entro 18 mesi. Tutto a colpi di ordinanze, visto che dal 2006 il sindaco di Roma è anche commissario all’emergenza del traffico. Qualcosa, però, va storto. Fin da subito. Il permesso di costruzione arriva a gennaio 2012, cioè 26 mesi dopo l’ordinanza di approvazione. Il tempo di condurre le indagini archeologiche, raccogliere e selezionare i resti trovati sottoterra. Le ruspe spazzano via il campetto in terra e sbancano il terreno. Poi non succede più nulla. A novembre 2012 Alemanno revoca sia la convenzione con il Consorzio Romano Parcheggi che l’ordinanza del 2009. Insomma: il Campidoglio decide che il parcheggio interrato non si fa più. Il costruttore dovrà restituire l’area nelle stesse condizioni in cui l’aveva trovata. Risultato: una riqualificazione fallita in piena regola. Fallimento che sembra non avere padri: Comune e azienda costruttrice si rimpallano la responsabilità di ritardi e inadempienze. “Abbiamo investito due milioni di euro su questo parcheggio, figuriamoci se non ci interessa portarlo a termine”, dice Stefano Zoldan, socio del Consorzio Romano Parcheggi. Con il supporto di carte, documenti e lettere raccomandate Zoldan illustra la propria versione dei fatti: “In questa storia c’è un solo colpevole: la burocrazia. Un muro di gomma. Nel consegnarci il permesso a costruire, il Comune ci ha detto che, per l’inizio effettivo dei lavori, avevamo bisogno di tre autorizzazioni: Soprintendenza, inquinamento acustico e dipartimento delle fogne. Abbiamo ottenuto faticosamente i primi due mentre il terzo nullaosta non ci è mai arrivato. Nonostante lettere, telefonate e solleciti di ogni tipo”. Insomma, secondo il costruttore era impossibile cominciare a realizzare il parcheggio perché mancavano ancora le ultime autorizzazioni. “Ci era stato chiesto di verificare l’esistenza di una vecchia fogna. Abbiamo scavato e fatto video-ispezioni: non c’era nulla. A quel punto ci aspettavamo l’ok definitivo”, continua Zoldan. “Nel frattempo il delegato ai parcheggi e quello allo sport del comune di Roma ci subissavano di lettere, intimandoci di iniziare i lavori. Non avrebbero fatto meglio ad alzare il telefono e cercare di capire quale fosse l’intoppo? Paradossalmente io cercavo di accorciare i tempi, mentre gli uffici comunali facevano di tutto per allungarli”. La versione di Alessandro Vannini, delegato del sindaco per il Piano Urbano Parcheggi, è opposta: “Il Consorzio non ha presentato il progetto preliminare sulle fogne nei tempi e nelle modalità previste. E oltretutto, il progetto non era idoneo. Il nullaosta non è stato rilasciato per questo motivo”. Secondo Vannini, poi, il Consorzio Romano Parcheggi non ha custodito i resti delle anfore romane ritrovati durante gli scavi. “L’azienda li aveva depositati nei vecchi spogliatoi adiacenti al campo. Lì però entrarono dei senza tetto che, per cucinare, diedero fuoco a tutto. Anche ai reperti”. Circostanza smentita da Zoldan: “Quell’incendio non provocò alcun danno. E comunque, subito dopo abbiamo portato tutto al sicuro”. E adesso cosa succederà? Il Consorzio Romano Parcheggi ha presentato ricorso al tribunale amministrativo contro la revoca della concessione. Inizia quindi una battaglia legale dagli esiti incerti. Un risultato, però, è garantito: il vecchio campo Testaccio continuerà ad essere un anonimo rettangolo verde sventrato dalle ruspe ancora per molti mesi. Forse anni. “Mia madre veniva a guardare le partite della Roma a Campo Testaccio quando era incinta di me. E a chi le chiedeva se non temesse di partorire sugli spalti rispondeva: magari!”. Adriano Verdolini insegna sociologia all’Università La Sapienza e ormai è uno dei pochi romani a poter descrivere, anche grazie ai racconti dei genitori, che atmosfera si respirasse a Campo Testaccio. Ricorda ancora la cavalleria disposta su via Zabaglia “per contenere la folla nelle partite più importanti”, dove si trovavano i botteghini per comprare i biglietti, i tifosi arrampicati sulle mura Aureliane pur di guardare gratis la partita. “Quella era una Roma leggendaria. Anche perché i giocatori più rappresentativi erano romani autentici. E quando scendevano in campo sentivano questa responsabilità”. “Vedere Campo Testaccio in queste condizioni fa molta rabbia. Mi piacerebbe che al posto del vecchio stadio sorgesse qualcosa in grado di ricordare la Roma di quel tempo”, continua Verdolini, che è anche un socio storico dell’Utr, l’Unione Tifosi Romanisti. Fino a metà gennaio 2013 l’Utr ha allestito una mostra sulla As Roma a due passi dal Colosseo. Un concentrato di ricordi, fotografie d’epoca, vecchi biglietti di Campo Testaccio e pagine di giornali dell’epoca. Una sezione della mostra-museo infatti era dedicata proprio alla Roma del 1929-1940. Oggi la Roma ha cambiato volto: il presidente è lo statunitense James Pallotta, che sta progettando di costruire il nuovo stadio di proprietà nell’area di Tor di Valle. Ad oggi, la società non ha commentato la vicenda del vecchio Campo Testaccio. Molti vecchi tifosi sperano che gli americani possano “adottare” questo fazzoletto di terra abbandonato. Da parte del Comune di Roma c’è già un’apertura: “Noi abbiamo ancora intenzione di riqualificare l’area – spiega Alessandro Vannini – Ora cerchiamo un interlocutore che faccia una proposta seria. La Roma potrebbe essere la madrina di questo nuovo progetto”.

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Fonte: Repubblica.it

 

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