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IL ROMANISTA Sono 300, è giovane e forte

(V.Meta) – Una partita importante dieci anni dopo la sua prima partita importante. Alla fine del suo primo Roma-Parma, ottobre 2003, l’allenatore avversario dice che l’allora diciannovenne Daniele De Rossi “ha fatto vedere a tutti come si gioca a calcio”. Ci ha visto lungo, quell’allenatore, che infatti oggi è il commissario tecnico della Nazionale vice campione d’Europa: dieci anni dopo, il ragazzo che quel giorno si definiva «un centrocampista normale» si appresta a toccare quota trecento partite in Serie A. La maglia è quella di allora, è cambiato il numero, qualcosa nel look, moltissimo sul piano dell’esperienza, ma De Rossi è ancora qua. C’è ancora il Parma e c’è ancora Prandelli, che dopo la trecentesima in A lo aspetta a Coverciano per il doppio impegno azzurro della prossima settimana.

C’è ancora la Roma, naturalmente, e c’è ancora il suo stadio, lo stesso che quel giorno gli voleva già bene, folgorato com’era stato da un destro dal limite al Torino appena qualche mese prima. Per De Rossi era la terza in Serie A, la prima da titolare, e Franco Sensi sprizzava fierezza. Dall’esordio erano passati quattro mesi (25 gennaio a Piacenza, ma la schedina diceva ComoRoma), e che le premesse per andare lontano ci fossero tutte era una verità chiara e distinta. Maglie strappate e baciate, corse sotto la Sud, rigori segnati, rigori sbagliati, «voi non lo sapete la Roma che cos’è». Fotografie della tua presenza. Arriva in un momento ben strano, la partita numero trecento di De Rossi in Serie A, tant’è che ancora non si sa se effettivamente la giocherà domenica. Arriva dopo il mezzo passaggio a vuoto di Udine, dove era uno dei più attesi e invece non è riuscito a incidere.

Colpa di una condizione fisica non ancora perfetta, come spiegato più volte da Andreazzoli: Daniele aveva recuperato a tempo di record dall’infortunio muscolare rimediato contro l’Inter in campionato per tornare già nei minuti finali di Roma-Cagliari, da allora ha saltato solo la trasferta di Bergamo per squalifica, ma in compenso ha giocato con la Nazionale in Olanda. Normale che sia lui il primo a non essere contento di un rendimento non sempre all’altezza della sua classe e delle attese dei tifosi. Archiviate le incomprensioni con Zeman, sotto la cui gestione ha comunque giocato 14 delle 16 partite in cui era disponibile, restando in panchina solo 3 volte e saltando le altre per infortunio o squalifica, il cambio in panchina non ha portato nel suo rendimento la svolta che qualcuno ipotizzava: «Ma sta migliorando, il suo è solo un problema di condizione», ha detto il tecnico.

E dire che appena prima di Natale aveva festeggiato le quattrocento partite con la Roma con la prestazione sontuosa all’Olimpico contro il Milan, quando aveva fatto sembrare un ragazzino alle prime armi uno come Riccardo Montolivo. Poi insieme all’apertura del mercato si era parlato ancora di cessione, di City e Psg, eppure anche a dieci anni di distanza sembrano essere ancora attuali le parole che De Rossi diceva dopo quella prima partita importante: «Mi volevano tante squadre, in alcune sarei anche andato volentieri: ma ho preferito rimanere. Ho fatto la scelta migliore: e poi è straordinario giocare per la squadra che ami».

Dieci anni marcati da tappe intermedie mai casuali. Numero cinquanta, Atalanta-Roma del 22 maggio 2005, segna Cassano e la Roma si salva alla penultima giornata, finisce con un sospiro di sollievo il primo campionato di responsabilità. Numero cento: Lazio-Roma del 10 dicembre 2006, altro che voglia di festeggiare. Numero centocinquanta, Udinese-Roma del 13 aprile 2008: una settimana dopo il rigore dajeRomadaje al Genoa, una settimana prima del sabato nero di Roma-Livorno, ma la rimonta si fermerà solo a Catania. Numero duecento, RomaLazio del 6 dicembre 2009: il regalo glielo fa Marco Cassetti, il resto è storia.

Numero duecentocinquanta, Roma-Cagliari dell’11 settembre 2011: c’è un caldo soffacante per la prima di Luis Enrique, De Rossi segna ma la Roma perde lo stesso e lui aggiunge un altro pezzo alla sua galleria di gol belli e inutili (primo per distacco quello di Old Trafford Uno, praticamente di spalle). Prandelli aveva ragione, ne avrebbe date di lezioni di calcio, quel ragazzo. Per un aggiornamento sulle prossime, ripassare alle trecento.

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