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L’ESPRESSO Ma che fatica il calcio

Giancarlo Abete

(G. Perrelli) – Governa sulla passione calcistica di un milione e 400 mila tesserati. La popolazione di uno Stato europeo come l’Estonia. Distribuita fra professionisti e dilettanti in 70 mila squadre. Con un regolamento gestito da 30 mila arbitri che dirigono 700 mila partite l’anno (in media circa 2 mila al giorno). Un fenomeno glocal reso sempre più complesso dall’intreccio esasperato di interessi finanziari e pulsioni campanilistiche esaltate come fedi. E aggredito oggi dal virus della frode sportiva, dalla violenza degli ultras, dall’inadeguatezza degli stadi, dai veleni di faide societarie e dalla tirannia dell’onnipotente televisione.

“Sì, con questo groviglio di problematiche è fisiologico che nel mio personale bilancio ci siano luci ma anche ombre», riconosce il presidente della Federcalcio Giancarlo Abete (62 anni, ex deputato Dc dal ’79 al ’92), illustrando la sua candidatura per un nuovo mandato al vertice del football italiano (elezioni il 14 gennaio). «Dal punto di vista tecnico la soddisfazione maggiore è stata quella di promuovere la risalita della Nazionale dal sedicesimo al quarto posto del ranking dopo il fiasco del 2010 ai Mondiali del Sudafrica. Grazie anche a una politica di valorizzazione dei giovani che ha fatto fiorire nuovi campioni e che, complice la crisi, è una strada oggi perseguita con intelligenza dalle principali società. Un buon viatico per i Mondiali in Brasile del 2014. Ma sono orgoglioso pure dell’attività sociale, resa più concreta dalla capacità nel trasmettere valori di un ct sensibile come Cesare Prandelli”.

Giancarlo Abete, di cosa, invece, è pentito?

“Onestamente, di nulla. Il mio rammarico è legato solo agli eventi. Il flop in Sudafrica, per esempio, dovuto alla fine di un ciclo. Ma il risultato sportivo, si sa, è sempre aleatorio. Più allarmante è l’insidia, dal giugno 2011, delle scommesse illegali. Un fenomeno vasto, con ramificazioni internazionali, che ci obbligherà ad adeguare la giustizia sportiva. La giurisprudenza in materia è purtroppo ancora in itinere. Dovremo muoverci in un’ottica sistemica, in raccordo con il Coni, la Fifa e l’Uefa”.

Al di là degli ingorghi delle competenze, sembra essere in gioco la credibilità stessa del calcio. Sempre più tifosi pensano che ormai il gioco sia in prevalenza truccato e che non valga più la pena palpitare per una colossale finzione.

“Purtroppo il calcio scommesse ha cambiato gli scenari dell’illecito. Dalla casistica sono scomparse le partite comprate con le valigette nei grill delle autostrade. La criminalità organizzata ha spostato gli interessi su obiettivi più subdoli e raffinati come l’entità del punteggio. Si ingenera l’illusione di non infrangere la liceità sportiva accordandosi non su un risultato perlopiù scontato, ma sul numero dei gol da realizzare. La Uefa, con i suoi mezzi, monitora circa 30 mila partite. Noi vigiliamo con i nostri ispettori su tutti i campi”.

Anche la giustizia sportiva sta perdendo credibilità . Si procede a singhiozzo, si emettono sentenze a rate, si applicano sanzioni a campionato già in corso.

“La giustizia sportiva non ha lo stesso passo di quella penale. Può apparire a volte più severa perché, basandosi sul principio di lealtà, sanziona per esempio un’omessa denuncia che non sempre ha rilevanza in un’aula di tribunale normale. In più non dispone degli strumenti investigativi della magistratura ordinaria. E ha infine tempi diversi. E’ obbligata in alcuni casi ad accelerare per garantire la partenza dei campionati. In altri, per procedere, deve aspettare che la magistratura renda pubblici gli atti della sua inchiesta. Oggi è del tutto evidente che urge una riforma delle procedure. Va trovato innanzitutto un equilibrio fra il principio della responsabilità oggettiva, uno dei capisaldi delle norme Uefa, e l’esigenza che le società non paghino prezzi esagerati per colpe non proprie. Ritengo sia giunto il tempo di assegnare maggiori garanzie ai diritti della difesa”.

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