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IL GIALLOROSSO DELLA SETTIMANA Il giusto premio per un professionista straordinario

Perrotta euslta

“Se Lippi lo vede, non lo leva più”. Così Luciano Spalletti, qualche tempo prima del Mondiale 2006 si espresse su Simone Perrotta. In effetti quel mondiale il calabrese nato ad Ashtondove per celebrarlo è stata costruita una statua, lo giocò tutto, dalla prima (Italia-Ghana) all’ultima partita (Italia-Francia) risultando sempre il più generoso. A fine mondiale non passò fra i più menzionati (tanto che nelle votazioni di fine mondiale fu completamente ignorato dal Mediavideo, che poi si scusò con il giocatore) come merito e prestazioni, forse per la sua tranquillità o magari per il fatto di non essere esuberante, ma quel mondiale, fra recuperi, corse, falli, contrasti, Perrotta meritò di vincerlo come o forse più di tanti giocatori più celebrati.

Da quell’estate del 2006 ad oggi sono passate tante partite ed emozioni: Coppe Italia (2), Supercoppa italiana (1), quarti di finale di Champions League (2), scudetti (diciamocelo tranquillamente) scippati, con Simone sempre e comunque presente. Celebri i suoi inserimenti, di spallettiana memoria come si dice in gergo giallorosso, che regalarono, fra i tanti, due Coppa Italia con i gol decisivi all’Inter nella finale di ritorno nel maggio 2007 prima e quello del momentaneo 2-0 nella finale unica del 24 maggio 2008, terminata 2-1, poi. Fra Spalletti, Ranieri, Montella e Luis Enrique il ruolo di Perrotta, se dal lato tecnico andava scivolando verso la panchina o, come nel caso dell’asturiano, fuori ruolo, nello spogliatoio è rimasto intatto degli anni: un leader. Non può e non poteva essere altrimenti.

Dopo un anno di umiliazioni con Luis Enrique, che più di una volta lo ha schierato terzino, un rifiuto di rescissione di contratto, una non convocazione per la tournée americana, senza mai fare un fiato. Il CAMPIONE DEL MONDO ha continuato ad allenarsi, senza alzare minimamente la voce, come nel suo stile, da professionista vero. Il giusto premio è arrivato domenica scorsa. Il rasoterra di destro, Pegolo che non ci arriva, la rete che si gonfia, il boato del settore ospiti, la corsa sotto lo stesso, Pjanic che tenta di abbracciarlo ma Perrotta che lo spinge via. Vuole godersi questo momento. Le botte sulla vetrata e l’arrivo di tutti i compagni, anche Osvaldo, Tachtsidis e Svedkauskas dalla panchina. La celebrazione del Leader.

Anche se detta e ridetta come cosa, un giocatore del genere meriterebbe un ruolo da dirigente a fine carriera: un tale esempio di professionalità e attaccamento ai colori giallorossi non può che fare bene sia allo spogliatoio, che vede in lui un’ istituzione, sia ad un management che fino ad ora si è dimostrato un po’ confuso e poco attento agli umori della piazza. Piazza che ormai Simone conosce perfettamente.

Giovanni Parisi

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