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GAZZETTA DELLO SPORT Zeman va al sodo. Osvaldo e Pjanic, la Roma stavolta non fa la stupida

Osvaldo

(R.Palombo) Un rigore fantasma trasformato da Osvaldo e un tiro di Pjanic deviato nella propria porta da Gazzi regalano alla Roma una vittoria ricostituente e condannano il Torino alla prima sconfitta stagionale esterna. Risultato giusto, se si guarda al gioco espresso dalle due squadre, volonterosa e votata all’attacco la Roma, troppo rinunciatario il Torino. Ma è il come che non va: a venti minuti dalla fine un match a quel punto votato a un mediocre 0-0 viene deciso da una cervellotica e inspiegabile decisione dell’accoppiata Guida-Calvarese. «E’ una vergogna», il labiale televisivo immortala Ventura un attimo prima della sua espulsione e il resto lo fa il pugno di tifosi granata al seguito, al fischio finale del pavido arbitro Guida: «Vincete come la Juve», è il coretto destinato alla Roma. (…)

IL FATTACCIO  La decisione la prende l’arbitro addizionale di porta Calvarese, su sollecitazione di una discreta parte dei giocatori giallorossi, che gli piombano addosso non appena il subentrato Marquinho gli cade quasi tra i piedi. Ai fianchi del brasiliano ci sono Ogbonna e D’Ambrosio, ma francamente è difficile capire cosa abbia visto l’aiutante (si fa per dire) di Guida. Un rigore omaggio che il gran dilapidatore della serata, Osvaldo, non fallisce, facendosi così perdonare tutto il resto. Sparigliato il match, il Torino mostra tutti suoi limiti offensivi, terz’ultimo attacco del campionato, ed è la Roma a poter approfittare degli spazi che le si aprono dinanzi. Il 2-0 di Pjanic rappresenta una logica conseguenza.

ROMA IN ORDINE Prima partita senza subire gol dopo averni presi dodici nelle ultime cinque, è una Roma convalescente, dove se non altro Zeman mette ordine. Con De Rossi, Tachtsidis e Burdisso squalificati, e con Stekelenburg ancora indisponibile, Zeman riparte da Castan centrale difensivo e da Bradley centrale in mezzo al campo. Creatività zero, ma maggiore filtro. L’altalenante Pjanic ai suoi fianchi torna titolare con compiti di regia maggiori di quelli riservati all’americano. Il tridente è sempre quello, meraviglia se si tratta di attaccare, latitante se si tratta di difendere. Aggiungeteci i soliti difensori laterali, Piris e Balzaretti, due fin qui inadeguati ai bisogni di una presunta grande squadra, e capirete bene che la Roma è sempre quella. Capace di far stropicciare gli occhi se azzecca la combinazione giusta in attacco, ma così lunga da far sempre paura (ai propri tifosi) ogniqualvolta l’avversario di turno decide di ripartire.

4-6-0 Anche il Toro di Ventura è sempre quello: lo chiamano 4-2-4 ma in fase di non possesso palla la squadra si schiera sempre cortissima col 4-4-2, Cerci e Santana che partono bassi, in linea con Basha (preferito a Brighi) e con Gazzi. Modulo che nei momenti di maggiore difficoltà diventa anche un 4-6-0, visto che Bianchi e Sgrigna si prestano a dare una mano. Si rivede dopo un mese e mezzo Ogbonna, e il battesimo è di quelli tosti, contro Osvaldo. Che ha le sue occasioni, ma non sa sfruttarle, causa ricerca del preziosismo, come quando allarga troppo il destro dopo il coast to coast di Lamela, o dell’acrobazia esagerata, la rovesciata ciccata sul cross di Piris, o di una concentrazione che manca quando Gillet suicidandosi gli mette palla tra i piedi su un rinvio. Risultato: il dominio della Roma è sterile e l’unica vera parata la compie Goicoechea sul tiro di Bianchi (…)

ESCE TOTTI La Roma del secondo tempo è in fase calante quando Zeman toglie lo stanco Totti, fin lì il più concreto, e il maratoneta Florenzi. Con Destro e soprattutto Marquinho, decisivo, i giallorossi riprendono vigore e sprint: che poi uno di questi diventi materia per le suggestioni di Calvarese e Guida è altra storia. Che a quelli del Toro non può andare giù. E che a quelli della Roma, ora sesti a tre punti dalla Lazio e dall’Europa, fa un sacco di bene.

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