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LA REPUBBLICA Caos Calmo Cellino, l’uomo sul terrazzo che cancella le partite

Cellino

(G. Romagnoli) – Se Berlusconi avesse il mare sarebbe un piccolo Cellino. Dev’essere il riflesso del sole sull’acqua davanti a Miami, dove il presidente del Cagliari svacanza. Dev’essere una gibigiana che acceca e toglie per un attimo la connessione con la realtà.

Poi, ci sono attimi che durano una vita. E non ne esci più. Eppure qualche volta esageri ancora. Parola d’ordine della scorsa giornata: «Ho evitato il caos». Roba da far venire giù la curva, se già non fosse pericolante. Tutti in piedi, standing ovation per l’uomo che ha ridefinito il concetto di autogol: tre in un sol colpo. Caos Calmo Cellino contro tutti. In ordine alfabetico: Abete, Baldini, Balsamo (prefetto di Cagliari), Beretta, la logica, la lingua italiana, tutti noi. Perché ci dev’essere pure un punto di non ritorno, un momento in cui smettiamo di considerare folkloristico l’assurdo, non scambiamo un buon titolo con il senso delle cose, ne abbiamo abbastanza di ascoltare e non guardare. Perché esiste ancora un confine tra la politica e il calcio.

La politica è arte del niente […] Il calcio è l’opposto. Dovrebbe esserlo. Una forma di residua certezza. Si gioca, chi segna più gol vince, si va a casa. Poi ci si mette la genìa dei Cellino e accade che non si giochi, si vinca o perda senza segnare e si resti a casa. Lui no, lui è in Florida per motivi di salute. O meglio, parole sue: «È nella melma, non soltanto per le medicine che sta prendendo». […] non è lui «la vergogna del calcio», è semplicemente la sua negazione. Come altro definire l’uomo che cancellò una partita? È la versione arricchita e peggiorata dei nostri incubi bambini: il pallone finiva sul terrazzo di quello a cui dava fastidio la nostra allegria, la sua porta finestra si schiudeva, una mano appariva, la palla spariva, sul resto del pomeriggio calava il silenzio.

Il cancellatore di partite rientrava in casa, rideva da solo, soddisfatto, poi prendeva carta e penna e scriveva una lettera al quotidiano locale contro la decadenza dei costumi, l’amoralità dei giovani e, indovina, la perdita dei principii. Diceva più o meno così: «La società (Cagliari calcio) comprende i suoi principii pur non condividendoli, perché chi spera di avvantaggiarsi delle disgrazie altrui non può essere contraddistinto come tale». Punto. Due punti. E virgola. Poi a capo, crepi l’avarizia, partiam di congiuntivo: «Se così fosse, a quel tipo di uomo di principii, il suo più appropriato stemma sarebbe quello dell’avvoltoio». […]

E noi, che all’appuntamento con la storia andiamo con il vestito buono, siamo ancora qui con il nodo windsor alla cravatta e la pochette in tinta, ma nessuno è venuto a prenderci per accompagnarci alla svolta. Con tutta la nostra ingenuità, verso il tramonto ci è venuto il sospetto che ci stessero facendo fessi. La stessa sensazione l’abbiamo venuta leggendo l’intervista rilasciata ieri da Caos Calmo all’Unione Sarda, dove sostiene: «Mi diano anche un tre a zero a tavolino, non m’importa: meglio andare in prigione da innocente che da colpevole». C’è una differenza, che pochi presidenti (di calcio e non) sembrano conoscere, tra l’innocenza e l’autoassoluzione. E, direbbe Boskov, colpevole è chi tribunale condanna. Nel caso di Cellino, due volte: per reati patrimoniali. Più questo tre a zero a tavolino. Lui l’aveva detto: «Non spero di farla franca». E per una volta, mi consenta, tutti d’accordo: io speriamo che non se la cavi.

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