IL TEMPO. Luis Enrique, quasi una resa

 

Stekelenburg espulso

(A. Austini)«Cosa ho fatto per meritare tutto questo?». Luis Enrique esce provato dal secondo derby della sua vita, brutto quanto il primo e ancora più doloroso nelle conseguenze. Se a ottobre si poteva ancora sperare in una crescita di una squadra appena costruita, la sconfitta di ieri trasforma il finale della stagione in un travaglio. Nella testa dello spagnolo frulla di tutto: rabbia, rassegnazione, impotenza, nervosismo e orgoglio. Un uomo a pezzi che non se la sente di dare certezze sul suo futuro. «Penso di meritarmi – dice – di finire la stagione qui, poi a maggio vedremo dove saremo arrivati e faremo i conti». Della serie: sono pronto a farmi da parte. «Non posso e non voglio lavorare – aggiunge – in un posto dove il club, i giocatori o la gente non mi vogliono. Finora non è così: società e squadra sono con me e, a giudicare dalle persone che incontro per strada, mi sento rafforzatissimo anche dai tifosi. Detto questo so come funzionano le cose nel calcio, percui state tranquilli: a fine stagione mi prenderò tutte le responsabilità». Parole che sanno quasi di resa e arrivano al termine di una partita che per la Roma è come se non fosse mai iniziata. «Non parlo mai degli arbitri, non mi interessa dare un giudizio e “piangere”, ma è chiaro che mi piacerebbe giocare un derby in 11 fino alla fine. Ne ho fatti due e non mi è ancora riuscito. Almeno una volta vorrei farlo, poi posso anche perderlo». Ci pensa, si dispera e sbotta: «Non so cosa ho fatto per meritare questo schifo, questa merda». È un Luis Enrique senza freni inibitori. Dal giro delle tv passa in sala stampa e litiga con un giornalista, mentre il mental coach Llorente lo incita a rispondere per le rime. L’analisi della partita, a suo dire, è tutta racchiusa nell’episodio che ha tagliato le gambe alla Roma. «L’espulsione dopo pochi minuti ha condizionato tutta la partita. Non ho nulla da dire ai ragazzi: hanno dato tutto, avevano pareggiato la partita e ho visto delle cose buone». Non può negare, però, che la Roma si sia fatta male da sola per l’ennesima volta: l’azione spacca-derby è nata da un passaggio scellerato di Heinze. «Abbiamo fatto – attacca l’allenatore – errori infantili, ma succede e succederà sempre a una squadra come la nostra che vuole sempre proporre il gioco. Le grandi non fanno questi sbagli? E chi lo ha mai detto che siamo grandi!». E adesso? «Dobbiamo preparare le dodici partite che mancano. Ci dobbiamo rialzare e pensare a cosa succederà in queste ultime gare. Il derby era una partita-spareggio per il terzo posto, ora è molto più difficile ma noi cercheremo di lottare ancora». Nessuno ci crede più, nemmeno i tifosi che ieri, una cinquantina, hanno contestato la squadra che rientrava in pullman a Trigoria. Messaggi di rassegnazione anche dalla società. «Nessuno si aspettava traguardi più alti di questi. Dobbiamo lavorare su questa idea di calcio propositivo – dice il dg Baldini – che ha come fine vincere le partite. Il nostro piano prevedeva di formare una squadra nuova con un’identità di gioco che potesse offrire qualche orizzonte di futuro grazie al lavoro del nostro allenatore: io lo vedo, molti no. È una progressione, aggiungeremo qualcosa ogni anno per avere una crescita costante sulla qualità». La linea del silenzio sugli arbitri non cambia: «Non lo facciamo per spirito missionario, ma per non creare alibi». Il derby, secondo Baldini, «è stato un match molto buono la squadra ha condotto la partita e non ha concesso niente fino agli ultimi dieci minuti. Una gara della quale si può rimanere soddisfatti, ovviamente il risultato non dirà la stessa cosa». I romanisti neppure. 

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