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IL ROMANISTA. Bentornata Roma

Totti De Rossi e Borini

(T. CAGNUCCI) –No, non siamo morti, né rassegnati. Non è finito niente, anzi a sentire Daniele De Rossi (e Daniele De Rossi si deve sempre stare a sentire) che ha parlato finora di “sette mesi di prova” molto deve ancora iniziare.No, non siamo morti e nemmeno così in convalescenza, la Roma vista ieri sera a Palermo è una squadra che sta ancora completamente dentro alla sua stagione e a un campionato che per (quasi) tutti era già finito. Niente palle, né troppe parole: contro il miglior attacco del campionato in casa non hai preso gol, hai battuto una squadra che aveva fatto 4 gol all’Inter e 5-1 alla Lazio (e ieri era il decimo anniversario del nostro 5-1 a quelli, così tanto per ricordare la storia oltre che l’Asturia); sei tornato a vincere in trasferta che l’ultima volta non era manco Natale e adesso è quasi Pasqua. Niente miracoli, nessuna beatificazione e nessuna resurrezione, c’è ancora tanto da fare. Quasi tutto. E’ proprio questo il punto. C’è futuro. Le anime belle lo sanno: il futuro non è ancora scritto. Continua a essere un inno punk questa Roma, e una melodia romantica. La Roma non è finita, la Roma non è rassegnata, la Roma resta la Roma alla facciaccia di chi je vo male. Forza Roma, oggi domani e sempre.

Forza Roma pure se ieri sarebbe andata male. Questo soprattutto, ma non soltanto questo non è morto. La cosa più bella di ieri sera non è tanto quella maglia bianca di luce che resta inviolata, esce elegante adesso che torna a casa; non è la soddisfazione quasi da fratello maggiore di vedere Kjaer e soprattutto José Angel giocare bene, scoprire di avere una difesa, i tackle da windsurf di De Rossi, la classe e l’umiltà a una gamba di Totti (è tutta dedicata a Maurizio Zamparini questa vittoria, almeno al 95%, l’altro 5 è per i gufi de noantri), i lampi da Mosé di Lamela che spacca la partita con un assist, attraverso il tunnel dove s’era momentaneamente infilato il nostro amico Erik; non è nemmeno l’immensa, commovente locomotiva Fabio Borini che divora la pianura e mangia da solo tanto da mozzicarsi ogni volta che segna. La cosa più bella di ieri sera è essersi ritrovati a due, tre minuti, a trenta secondi dalla fine a pregare o a bestemmiare senza fiato su quell’ultimo pallone, sul penultimo traversone, col cuore scoppiato come se fosse la finale della Coppa dei Campioni e non un anticipo di sabato sera per le televisioni di una squadra settima in classifica che non può più vincere niente. La cosa più bella è stato sentirsi attaccati a Kjaer e a José Angel, scoprire di avere dei sentimenti seri per Bogdan Lobont, esultare al fischio finale che a maggio quando Milan o Juve (speriamo di no) lo faranno non lo faranno mai così. Se sei innamorato qua lo sei sempre. Sei della Roma. Vuol dire che tua moglie la ami veramente, la trovi attraente come la prima volta anche con la parannanza e senza trucco. Qui non c’è trucco. Chi ha sofferto ed esultato così ieri sera è contento non perché la Roma può ancora puntare all’Europa League (ci mancherebbe!) e forse – chissà – a qualcosa di più, ma lo è per un motivo infinitamente più semplice e più grande: perché la Roma ha vinto. Ed è questo che ogni volta, ogni volta come stanotte, non potrà finire mai.

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