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IL ROMANISTA. Bati-gol, grazie per sempre

Gabriel Omar Batistuta

(F. Bovaio) – Quando Franco Sensi annunciò l’acquisto di Gabriel Omar Batistuta un lungo brivido percorse la schiena di tutti i tifosi della Roma. Lui, il bomber dei bomber della serie A di quegli anni, lasciava la sua amata Firenze per vestire la maglia giallorossa accanto a Totti, Montella, Delvecchio e conCapello in panchina. Un sogno. La risposta migliore che la società di Trigoria poteva dare al fresco scudetto vinto dalla Lazio. Un gesto di rivalsa e di orgoglio che lanciava il guanto di sfida ai dirimpettai senza se e senza ma. Sfida che, ovviamente, fu subito vinta, visto che la stagione 2000-01si concluse proprio con la Roma che scucì il tricolore dalle maglie della Lazio lasciando tutti i biancocelesti con un palmo di naso. Loro che pensavano di aver finalmente pareggiato i titoli italiani vinti dai giallorossi e che, invece, si ritrovarono di nuovo subito sotto.  Batistuta fu tra i protagonisti principali di quel campionato, nel quale la Roma partì alla grande anche grazie ai suoi golsette nelle prime dieci giornate, compreso quello, splendido, alla sua Fiorentina all’Olimpico. Un tiro da fuori area che regalò la vittoria per 1-0 ai giallorossi e che spinse la Sud a intonare un ironico e canzonatorio «Ve saluta Batistuta» ai mai troppo amati tifosi viola giunti nella Capitale. Per lui, ovviamente, quella rete fu uno squarcio al cuore, tanto che dopo averla segnata scoppiò anche in lacrime, come era umanamente comprensibile che fosse. Ma forse era il destino che si doveva compiere per chiudere il cerchio della storia. A fine campionato di reti ne avrebbe segnate venti, tante quante nessun attaccante romanista era riuscito più a farne dai tempi di Balbo. Magnifiche le due che fruttarono la vittoria in rimonta per 2-1 a Parma, nella partita che molti giocatori di allora indicano ancora come quella della svolta, al termine della quale capirono di poter davvero vincere il titolo (era l’ultima giornata del girone di andata). Indimenticabili quella nel derby di ritorno, con la conseguente mitraglia fatta sotto la Sud e quella nel 3-1 dell’aritmetico successo nel match casalingo del 17 giugno ancora con il Parma che chiuse la magnifica cavalcata tricolore. E poi via con i festeggiamenti per quel titolo che tutta Roma aspettava (a parte quella minoranza che si chiuse in casa a meditare sul tricolore che gli era stato appena scucito dalle maglie) e per vincere il quale lo stesso argentino era sceso nella Capitale. Una storia, quest’ultima, che iniziò subito con un grande amore, tanto che dopo l’annuncio del suo acquisto per la città iniziarono subito a girare tante magliette con su stampata l’esultanza con la mitraglia, la scritta “Batigol reconquista Roma” e il numero 9, che però poi non ebbe, visto che Montella puntò i piedi per tenerselo stretto. Così i tifosi della Magica dovettero godersi il loro Batistuta con un innaturale 18 sulle spalle, ma alla fine andò bene lo stesso. Peccato che dopo tutti i calci presi a Firenze e quel fantastico campionato del terzo scudetto giallorosso le sue caviglie cominciarono a fare le bizze, anticipandone il declino in modo anche inatteso. Un guaio del quale lo stesso Batigol, oggi quarantatreenne direttore sportivo della squadra argentina del Colon, ha parlato in un’intervista al periodico francese France Football: «C’è stato un momento in cui sono stato malissimo, tanto che avevo difficoltà anche a camminare. Ora per fortuna vado abbastanza bene, ma chiaramente non posso più giocare a pallone perchè non posso più correre. Se tornassi indietro forse starei più attento, anche perché di infiltrazioni antidolorifiche non ne ho fatte moltissime e in una stagione da 70 partite ne facevo 65». Dichiarazioni alle quali, per capire davvero chi è stato Batistuta per la Roma, vanno abbinate quelle che rilasciò nel giorno della sua presentazione all’Olimpico (6 giugno 2000) di fronte a sedicimila tifosi accorsi solo per lui: «Vedendovi mi viene voglia di giocare subito e di vincere. Cercherò di ringraziarvi in campo, sudando fino alla morte con questa maglia». Come testimoniano le sue caviglie lo fece davvero e gliene saremo per sempre, sinceramente, grati, anche perché pensiamo che senza la sua classe e il suo carisma forse quello scudetto non sarebbe mai arrivato.

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