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IL ROMANISTA. Lupa ridens

Festeggiamenti Roma

(T.Cagnucci) Mancavano un paio di minuti alla fine quando Luis Enrique in piedi sulla linea del campo con le mani ha stoppato un pallone per servirlo il prima possibile a Balzaretti: nella rimessa in gioco il Palermo per poco non pareggiava. Sarebbe statauna beffa, resta una lezione. Di stile, di eleganza e anche di pallone. Tra i mille titoli e i mille giochi di parole dedicati giustamente a Lamela (meglio il “Mio amico Eric” però, un film grazioso dedicato a Cantona giusto per ricordare anche l’1-6 subito dalloUnitedieri) se parliamo di rivoluzione- eparliamone – questa è l’immagine più bella di un Roma- Palermo da mille batticuori e dalle duemila occasioni.

Rivoluzione è anche educazione. E’ il calcio secondo Baldini.L’altra istantanea è il gol di Lamela: un controllo naturale, la decisione all’improvviso di tirare, innanzitutto per sorprendersi sennò non potrai mai sorprendere gli altri, un tocco sontuoso per un viaggio fra l’Argentina e Trigoria, una carezza prima di uno schiaffo nel pugno dell’esultanza di De Rossi. Gol. Dall’altra parte a cogliere la prima mela di questo paradiso terrestre che è l’Olimpico.Alla sua prima partita, al minuto del suo numero di maglia, ma soprattutto sotto il settore riservato ai bambini. Rivoluzione è anche educazione all’arte. Si sono alzati anche Totti e Cristian ad applaudire. Tutto il resto non è stato né Mangia, né Bojan, ma tante cose e soprattutto sentimento, a partire dal minuto di silenzio.

A proposito… C’è tanto da dire invece su Maarten Stekelenburg, anzi c’è sostanzialmente una cosa da dire: è un grande portiere. A parte quella di Julio Sergio su Mauri nel primo dei cinque derby vinti (ricordatelo ora e per sempre), era dai tempi di Tancredi che non si vedeva una parata vera di un portiere della Roma. Alla faccia delle statistiche alla Trilussa, dei numeri che non dicono niente (ha preso più gol di Lobont e fino ieri non aveva mai vinto) e degli schemi col suo nome che non esistono. A proposito… Sicuramente ci sarà qualche genio che oggi parlerà di un Luis Enrique diverso perché ha sostituito Borriello con Perrotta senza capire che con quel cambio non ha cambiato niente, a parte i nomi e i cognomi degli uomini in campo: dal 15 luglio a Riscone di Brunico a Roma-Palermo 1-0, Luis Enrique Martinez Garcia ha sempre giocato con due centrali di difesa, due esterni che si fanno tutta la fascia, un centrale, due interni a raccordo di un trequartista prima delle due punte. Non ha mai cambiato di una virgola. Quello che cambia è la Roma che gioca dentro questo gioco: il ritmo, la passione, le alchimie, le lezioni apprese, la sicurezza, qualche meccanismo, un accorgimentologico, unafurbiziaincorsa, laconsapevolezza di poter essere e di dover diventare una grande squadra. Il paradosso è che questa Roma, che a fine partita ha sempre il braccino da tennista, è una squadra che adesso gioca serve and volley- (e ieri è stata graziata da un paio di lungolinea) – dovrebbe imparare a tenere più palla: è il possesso quello che le fa difetto. Meglio. Veniamo da lì. Dobbiamo tornarci quando la palla scotta, quando i minuti pesano, quando gli avversari pressano, quando bisogna vincere.

Ma tutto questo è confortante, come il Palermo che per noi ha sempre significato ripartenze. Erano cinque anni che non partivamo così bene, e mai come stavolta siamo ripartiti da niente. È tutto quello che vuole la gente che alla Roma ha sempre e soltanto chiesto di veder ricambiata la serietà di un grande sentimento (ieri era il 23 ottobre, l’anniversario di quel “Ti amo”). Soprattutto questo è rivoluzione. Tutto il resto è un pensiero alla gioventù. Che corre. Che segna. Che all’improvviso non c’è più.

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