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IL ROMANISTA Della Rocca: “Isoliamo i razzisti negli stadi”

Stadio Olimpico

(M. Macedonio) – «Chi ha voluto e saputo interpretare, non ha potuto non cogliere il vero senso di quelle parole». E’ un giudizio netto quello che Ruben Della Rocca, assessore alle Relazioni Esterne della Comunità Ebraica Romana, dà dell’ennesimo episodio di antisemitismo manifestatosi durante un derby all’Olimpico. Parliamo ovviamente dellostriscione, comparso domenica sera al centro della curva Nord, con la scritta “La storia è sempre quella: sul petto vuoi la stella”.

Un messaggio inequivocabile. E che non può prestarsi ad altre letture, false e dolose. Perché la danno vinta a chi ha giocato sull’ambiguità del contenuto, visto che l’eventuale decima conquista della Coppa Italia avrebbe regalato alla Roma la fatidica stella d’argento. Mentre quella a cui si fa riferimento è, ancora una volta, la stella di David, quella gialla, intesa come sinonimo di persecuzione nei confronti degli ebrei, che ebbe nella Shoah il culmine della barbarie nazista. Un episodio che, inserito nella relazione allegata al referto arbitrale dai quattro procuratori federali presenti allo stadio, non ha però indotto il giudice sportivo, Giampaolo Tosel, ad infliggere sanzioni nei confronti della società biancoceleste. Per “mancanza – si dice – di elementi sufficienti” a farle scattare. Una motivazione che non convince lo stesso Della Rocca.

«Ravviso del dolo anche in un altro elemento – continua infatti. -Domenica ero anch’io allo stadio. E ciò che mi ha impressionato è che, a differenza di altre volte, non ho sentito alcuno di quei cori, di stampo chiaramente antisemita – uno su tutti, “giallorosso ebreo” – che spesso mi capita di ascoltare quando vado all’Olimpico per il derby. E che mi sarei aspettato anche in quest’occasione. Stranamente, invece, non se n’è levato nessuno, neanche una volta. A dimostrazione che non si tratta di cori “spontanei”, ma abilmente orchestrati. E ancora, che dietro a quei cori, e in questo caso anche dietro allo striscione – che volutamente si prestava all’equivoco, al solo scopo di uscirne impuniti – c’è una regìa precisa. Perché, se vi fossero stati i cori, sarebbe stato più facile associarli alla scritta, e chi avesse voluto avere orecchi per intendere, avrebbe tratto le proprie conseguenze. Mentre, con uno striscione “inattaccabile”, chi non ha voluto vedere ha anche potuto lasciar cadere la cosa, senza prendere provvedimenti». Eppure, gli estremi ci sarebbero stati per adottarne nei confronti di quella curva. «Ammetto che anche noi tifosi della Roma siamo stati vittime di questo, con quei cori verso Balotelli, che hanno fatto sì che, per la prima volta nella storia della Roma, si arrivasse a chiudere, per il primo turno casalingo del prossimo campionato, un intero settore dello stadio».

Anche se quei “buu”, va detto, si sono sentiti anche su altri campi, ma finora non avevano mai dato luogo a sanzioni di questo tipo. «La verità è che, nostro malgrado, Roma è oggi più che mai nell’occhio del mirino. E’ la città più bella del mondo, e anche quella che più di altre è in grado di far convivere, pacificamente, tante etnie e religioni diverse, soprattutto se la si vede in rapporto ad altre città europee. E’ una città che non respinge gli immigrati e le persone di diverso colore. Ma è anche quella che, per colpa di pochi mascalzoni, è purtroppo presa di mira per tali episodi. Io credo che le stesse Roma e Lazio dovrebbero tornare a fare qualcosa a riguardo. E’ vero, lo si è già fatto lo scorso anno, quando, anche grazie all’iniziativa promossa dal Romanista insieme a Roma Capitale, le squadre entrarono in campo con la maglietta contro il razzismo e l’antisemitismo. Ricordo ancora la presentazione in Campidoglio (il 2 marzo del 2012, ndr), quando per la Roma vennero il direttore sportivo Walter Sabatini e Fabio Simplicio, mentre per la Lazio c’erano Igli Tare e Christian Brocchi. Un’iniziativa che è stata poi copiata da tante altre società, e la cosa non può che farci piacere, ma che – come abbiamo visto – evidentemente non è bastata. Dobbiamo però ripartire da qui, e promuovere un’azione che coinvolga le società ma anche i vertici del calcio italiano, perché non possiamo più nasconderci. Per il futuro del calcio stesso. Perché certi cori e certi striscioni non trasmettono cultura sportiva. E se poi nelle cronache leggiamo di cose bruttissime che avvengono anche sui campi minori, dove quando va bene ci si limita agli insulti, e quando va male si passa alle vie di fatto, penso che abbiamo tutti una grande responsabilità. Come Comunità Ebraica, sensibile a questi argomenti, siamo in prima fila e chiediamo l’intervento di tutti, per un’azione comune. Dei vertici del calcio, ma anche del Coni e di tutto lo sport, perché ci si mobiliti contro qualcosa che investe tutti i livelli, a partire dalle categorie minori. Come si dice, bisogna prendere il toro per le corna. Quale sia la medicina, non lo so. So però che si deve poter isolare questi mascalzoni. Capisco che quando uno striscione prende mezza curva, chi lo tiene in mano per un bordo può non sapere nemmeno cosa vi sia scritto. Bisogna però fare educazione sportiva, che vuol dire rispetto dell’avversario. So bene che, a volte, le forme di disapprovazione verso Balotelli possono non essere per il colore della pelle. Però, perché fargli “buu” e non fischiarlo, invece, come si farebbe con qualsiasi altro giocatore? Lo slavo, perché chiamarlo zingaro? Finché non riusciremo a superare questo passaggio, rimarremo sempre lì. Viviamo, purtroppo, una fase di imbarbarimento civile. E lo stadio ne è lo specchio. E chi ha delle responsabilità, non può permettersi di minimizzare. Ho letto commenti entusiastici dopo la partita perché c’erano stati pochi incidenti. Non esiste un livello fisiologico accettabile. Dobbiamo lavorare perché non vi sia più neanche quello. Né accettare blindature e militarizzazioni come quelle di domenica. E’ deprimente. Anche spiegarlo ad un bambino. Che crescerà pensando che sia normale che lo stadio debba essere vissuto così. E’ una cultura che dobbiamo sconfiggere».

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