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REPUBBLICA.IT Effetto crisi, l’Italia a caccia dei baby talenti

Marquinhos

(M. Pinci ) “See what you’re missing!“, guarda cosa ti sei perso. Così il Daily Mail salutava da Oltremanica la prima doppietta diPaul Pogba in Italia: uno smacco a Ferguson da estendere, virtualmente, a tutto il campionato inglese. Perché se la Premier League resta probabilmente il torneo più divertente, magari anche più bello del continente, in Italia si lavora per il futuro. Colpa o merito, di una crisi che ha tagliato le possibilità d’investimento dei nostri club: addio ai sogni di campioni affermati da blindare con ingaggi dorati. Meglio, semmai, spendere per assicurarsi i (potenziali) campioni di domani, gettando qualche fiches al tavolo della sorte.

Lamela e El Shaarawy, costati quasi 16 milioni ognuno, sono indubbiamente gli investimenti più onerosi sostenuti nell’ultimo biennio per giocatori sotto i 21 anni. Ma la Serie A esprime almeno un “undici” di talenti verdissimi e altri alle loro spalle già in rampa di lancio. In porta PerinDe Sciglio eJuan Jesus ai lati di Marquinhos e SavicFlorenzi e Obiang vicino a Pogba per sostenere LamelaEl Shaarawy e Insigne: una formazione in grado probabilmente di competere almeno per un posto in europa, e in cui troverebbero spazio anche Niang,LivajaSampirisiBenassi o il giovanissimo Del Fabbro, diciassette anni appena ma già pronto a ereditare una maglia da titolare nel Cagliari.

È vero, l’età media del campionato italiano – 27,07 anni – non è ancora competitiva con quelle di Germania e Portogallo, che non arrivano ai 26. Ma la serie A ha avviato soltanto da pochi mesi il proprio rinnovamento. E nell’anno “zero” ha già ridotto di oltre 12 mesi la media età delle proprie squadre. Il rovescio della medaglia, semmai, è il modo in cui nel nostro paese si è scelto di seguire la linea verde. Se in Germania hanno sviluppato un programma nazionale dettagliato per la valorizzazione dei vivai, come ricorda sull’edizione odierna di Repubblica Angelo Carotenuto, l’Italia è ultima in Europa per il numero di giovani calciatori promossi in prima squadra: solo il 7,8 per cento. Un dato che mostra l’evidente limite di programmazione dei nostri club, sorpresi dalla carestia nel pieno di un’abbuffata che sono stati costretti ad interrompere. E per far fronte alle improvvise (solo per loro) difficoltà, la strada più semplice e veloce era certamente l’acquisto di baby campioncini cui le proprie sorti. Non un caso se di quel baby top 11 della Serie A soltanto in 5 siano formati dai settori giovanili del nostro paese.

Al contrario, solo per citare uno degli esempi più significativi, lo Schalke 04 ha avviato da anni una politica di valorizzazione del prodotto locale, curando i ragazzi delle proprie Academy fin dall’aspetto scolastico, stringendo una partnership con la scuola locale e ingaggiando professori all’interno della società. Per garantire allenamenti negli orari migliori della giornata senza però che questi interferiscano con l’istruzione, rendendo più leggero ai giovanissimi in via di formazione sportiva e non solo, coniugare i due aspetti: non a caso, forse, a Gelsenkirchen è nata una generazione di talenti, dal portiere Neuer al trequartistaOzil, passando per giocatori come Boenisch e Howedes.

Ma è tutto il modello tedesco a funzionare con precisione chirurgica: selezioni regionali che si sfidano in tornei utili a disegnare un quadro dei migliori giovani del Paese, selezionatori cui viene imposto il diploma di Uefa-A, tecnici federali giovanili distribuiti sul territorio che monitorano sia club professionistici che dilettanti, convocazioni minime garantite ai migliori prospetti per valutarne la crescita in una intera stagione sportiva, integrazione di criteri scientifici nelle valutazioni degli osservatori. In questo, l’Italia è ancora lontanissima: nonostante Pogba.

 

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