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CALCIOPOLI Narducci: “Il calcio è migliorato, ma guardo ancora le partite secondo una lettura criminale”

Calcioscommesse

“A mente fredda non ho cambiato idea su Calciopoli, anzi, più passa il tempo e più mi convinco che avevamo ragione”. Giuseppe Narducci, pm al processo napoletano di primo grado sulle vicende dello scandalo del 2006, è intervenuto ieri sera a “La Partita Perfetta”, in onda su Gold Tv.

A otto anni di distanza ancora si parla molto dell’indagine e in termini che a Narducci non vanno affatto a genio: “Abbiamo vissuto anni di campagne per alcuni versi mistificatorie e per altri revisionistiche, su fatti realmente provati e su cui ci sono delle sentenze. Non siamo ancora alla Cassazione, è vero, ma sono state emesse un bel po’ di sentenze della giustizia ordinaria, si sono pronunciati innumerevoli gradi della giustizia sportiva, di quella amministrativa, la Corte dei Conti si è espressa, nonché sono arrivate dagli organi federali sanzioni di radiazione. Tutti questi provvedimenti, adottati da organi diversi, dicono la stessa cosa: quei fatti erano veri. Dunque, non c’è da rivedere nulla di quel periodo, possiamo invece dire di aver svolto un buon lavoro”.

Ma Calciopoli per Narducci non è stata una passeggiata, tutt’altro: “E’ stata l’indagine più difficile della mia vita – spiega il magistrato – di un livello incomparabilmente superiore a un’indagine di camorra. Non capita tutti i giorni di lavorare con l’almanacco Panini accanto, su un argomento per cui hai una grande passione. Se abbiamo dato una spallata al sistema? Io credo di sì. Non penso si possa dire che le cose siano rimaste uguali a prima. Molti dicono che il calcio è marcio come è stato marcio come negli ultimi 30 anni, ma sarebbe fare un torto a quello che è successo. Poi è vero che il calcio “vive” di mali, visto che siamo ancora dentro al calcio scommesse, ma quella vicenda del 2006 credo si sia chiusa definitivamente”.

Eppure a Torino continuano a esporre le tre stelle, in primis allo Juventus Stadium, come se quella pagina per il mondo bianconero non si fosse mai aperta: “E’ forse questo il male di cui soffre tutto il Paese, anche in settori come la politica e la vita civile: rifiutarsi ostinatamente di riconoscere dei provvedimenti o delle sentenze. Anche nel calcio ci si rifiuta di riconoscere le istituzioni. Ognuno può pensarla come vuole, i giudici possono essere criticati, ma prima di tutto bisognerebbe avere il rispetto”. Attorno al numero degli scudetti della Juve, secondo Narducci, “si è montata una campagna tesa a far scomparire quei fatti, attraverso parole come “farsa”, “inganno”, “menzogna”. Come se quella storia fosse stata inventata, come se non esistessero quei colloqui, quelle intercettazioni che tutti hanno visto. E infatti i provvedimenti continuano in gran parte ad affermare che quei fatti erano veri”.

In questi anni, però, Narducci è diventato un “nemico” per gli juventini, che tutt’ora lo vedono come il diavolo: “Ho incontrato anche juventini che mi sono riconoscenti – spiega il giudice – persone assennate, magari anche tifosi “sfegatati”. Spesso è sui social network invece che si entra in una spirale di pulsioni non proprio nobili. Comunque va ricordato che non è stata un’indagine sulla Juventus, perché erano coinvolte altre società come il Milan, la Lazio, la Fiorentina, “rappresentate” a vario livello”. Sulle telefonate dell’Inter del periodo di Calciopoli, invece, secondo Narducci “la risposta indirettamente la danno le sentenze, anche se siamo in attesa delle motivazioni. Se quelle telefonate avessero il valore da qualcuno ipotizzato, si sarebbe avuto qualche contraccolpo sul processo, invece nelle carte non c’è una citazione nemmeno “a pie’ di pagina”, segno che non sono state ritenute di peso. Viceversa, sono state enfatizzate dagli imputati per sostenere la propria innocenza”.

A chi accusa Narducci di essersi fatto pubblicità attraverso Calciopoli, il magistrato risponde così: “Io credo che l’attività dei magistrata vada valutata unicamente in base al lavoro che svolgono, in base al fatto che il lavoro fosse fondato o meno, che avesse anima, e ovviamente ai risultati che ha prodotto. In questo caso c’era tanto…”. Tra le vicende parallele, o quasi, il processo Gea: “Non mi ha riguardato direttamente. Moggi ha preso la prescrizione come una vittoria? La storia è nota, ha resistito a tutti i gradi di giudizio. La Cassazione non ha detto che non c’è nulla, o che i fatti non sussistono, ma che sono prescritti. Accade, purtroppo, nella giustizia. Ma i fatti sono veri, altrimenti non si sarebbe potuto nemmeno dire che sono prescritti…”.

Il Narducci di oggi, infine, guarda con distacco il pallone, o quasi: “Sono meridionale, ma mio padre mi trasmise la passione per il Bologna, sono 50 anni che non vinciamo lo scudetto… Disamorato? In realtà guardo le partite in maniera diversa, sono disincantato, come lo sono i colleghi e gli investigatori che hanno fatto quell’indagine. E credo sia comprensibile”. E aggiunge: “Quando guardo tante partite mi scappa l’istinto di guardarle secondo una lettura criminale. Ho un occhio smaliziato sugli episodi che accadono in tutte le partite. Di errori, disattenzioni, casualità faccio ancora una lettura malevola”.

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