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IL ROMANISTA Venditti: “Mai detto di togliere l’inno”

Antonello Venditti

(M.Macedonio) – “Ci manca solo che tolgano gli inni, e poi non ci rimane niente”  dice al telefono, al RomanistaAntonello Venditti, tornando sulla questione più dibattuta della giornata. Uno sfogo il suo, un appello, quasi un grido di dolore. Perché si torni alla Roma che tutti abbiamo conosciuto e che, a sua detta, si fa fatica a riconoscere in quella di oggi. Non deve essere stata una giornata facile per lui, dopo le tante cose dette a Radio Centro Suono la mattina e a Radio Radio nel pomeriggio, che – “bomba o non bomba” – un bel botto comunque l’hanno fatto. Parole forti, le sue, che hanno finito per prestarsi alle interpretazioni più diverse, in qualche caso malevoli e polemiche, e in altri solo funzionali a guerre di fazione di cui non si vede il motivo – dice – e non se ne sentiva il bisogno.

“Non rimangio le cose che ho detto – continua Antonello – ma è chiaro che non mi sono mai augurato che possano togliere gli inni. Andrei, io per primo, contro i miei interessi. La verità è che in un momento di obiettiva crisi, qual è quello che stiamo attraversando, la società sembra avere più che mai difficoltà a comunicare con i tifosi. Sembra quasi non aver capito cos’è successo un mese fa. E’ successa una cosa epocale. La Roma non ha vinto, nel suo stadio, sia pure condiviso, quella Coppa Italia che avrebbe significato per noi molto più di quanto significhi per la Lazio. Perché avrebbe coinciso con la stella d’argento, ovvero un ulteriore sogno che per ora se n’è andato ma che avrebbe dato tutt’altro senso a questa stagione. Se l’avessimo vinta, tutto ciò che fosse venuto adesso sarebbe stato frutto di una felicità. E avrebbe fatto sì che venisse dimenticato tutto ciò che di negativo era stato vissuto quest’anno. Quando invece tu non dai la necessaria importanza a quelle cose che fanno parte del nostro essere tifosi, vuol dire che stai sottovalutando la passione della gente, o non ne hai piena percezione. Ecco, io vorrei che questa Roma fosse più simile ai miei inni, e allo spirito che rappresentano. Questo voleva essere quanto ho detto: una provocazione. Non ritiro nulla, ma voglio che sia chiaro il senso che intendevo dare alle mie parole: vogliamo ridare contenuti storici, sportivi e “culturali” a questa società e al nostro essere romanisti, oppure no? E’ una questione di orgoglio. Purtroppo, invece, tutto questo si innesta sulle guerre tra tifosi, tra chi ce l’ha con me e chi ce l’ha con qualcun altro, che non è certo ciò che volevo”.

Cos’è che secondo te ha determinato, o accelerato, questa crisi, come la chiami, all’interno della società?

La verità è che Franco Baldini, che rappresentava la continuità nella discontinuità, non c’è più. E l’unica faccia nota della Roma passata era la sua. Non è stato sostituito e ora, a Trigoria, non c’è nessuno, a parte Bruno Conti, che conosca dal di dentro una realtà come la nostra. Ti basti che io stesso, nei mesi in cui c’è stato Zeman, non ho mai messo piede a Trigoria. Una volta ci andavo, e – lo dico sinceramente – avrei voglia di andarci anche adesso. Nel senso che mettere gli uni contro gli altri non porta a niente. Lo ribadisco: io non sono contro questa società, vorrei semmai farne più parte. E sentirla ancora di più mia.

Hai parlato di amicizie che hai pagato con una sorta di ostracismo nei tuoi confronti.

Io parlo in radio, a Centro Suono, dove c’è chi ha avuto uno scontro forte con la dirigenza. Ma, per quanto mi riguarda, non ho interessi personali. Anzi, se parliamo di inni, voglio che sia chiaro che mai mi augurerei che fossero tolti, sia l’uno che l’altro.

Hai parlato di una società in cui ci sono sempre meno romanisti. Cosa intendevi dire?

Romanisti o non romanisti, se si portano a casa i risultati non possiamo che esserne felici. Ciò che voglio, innanzitutto, è che la Roma torni ad essere quella che era. O anche meglio di quella che era.

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