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AS ROMA Andreazzoli cambia la Roma

Andreazzoli

A Roma è Aurelio Andreazzoli l’uomo che ha gestito l’ingovernabilità. Nel giro di tre settimane, dopo il pesante passaggio a vuoto di Genova, il tecnico di Massa Carrara ha restituito quella normalità che le gestioni all’insegna del dogmatismo di Luis Enrique e Zeman avevano fatto perdere di vista. Tralasciando le logiche della classifica e degli scenari ipotizzabili in vista delle prossime giornate, quando i giallorossi non affronteranno nessuna delle prime della classe e potranno approfittare degli scontri diretti tra le altre per recuperare ulteriore terreno, l’ex braccio destro di Spalletti ha costruito la riscossa intorno a quattro mosse, accontentando qualche senatore (De Rossi e Stekelenburg) ed accantonando qualche fedelissimo dell’era boema. Scopriamo chi. Una rivoluzione in quattro mosse. La prima è stata quella di puntare con decisione sulla difesa a tre, che in stagione era stata provata soltanto a Firenze in Coppa Italia. Allora fu dettata dall’emergenza e portò in dote l’accesso alla semifinale, con Andreazzoli è stata una scelta autonoma e che non ha risentito neppure dalle carenze strutturali (quattro i centrali in rosa, col baby Romagnoli impiegato soltanto in coppa contro l’Atalanta) né dalla rinuncia forzata a Castan. Alla luce dell’infortunio del brasiliano, si è optato per lo slittamento di Piris nel reparto arretrato. Un azzardo bocciato in partenza, che ha invece prodotto un duplice risultato, poichè il paraguayano ha fornito garanzie insospettabili in copertura (grazie anche all’ausilio di Torosidis) e non ha fatto mancare il consueto apporto in fase di spinta. La novità più significativa, però, è quella legata alla cabina di regia, affidata a Miralem Pjanic. Andreazzoli ha cucito addosso al bosniaco un ruolo alla Pizarro, permettendogli di giocare un numero maggiore di palloni in campo. Non piu un jolly dalla collocazione complicata, bensì il fulcro della manovra col compito di dosare i tempi del gioco. Di qualità in qualità. La terza idea è stata quella di decentrare Lamela, dopo l’esperimento fallito come esterno di centrocampo in Liguria. Lì il suo mancato rientro su Estigarribia consentì ai blucerchiati di passare in vantaggio, convincendo il tecnico a mutuare il 3-5-2 in un più frizzante 3-4-2-1. Dentro Torisidis, confermato invece Marquinho sull’out opposto. Il brasiliano ex Fluminense è colui che più di ogni altro ha riscattato i dispiaceri dell’epopea zemaniana, venendo premiato con tre gettoni di presenza da titolare e confermando quelle doti di tenacia ed abnegazione che tanto ben avevano impressionato al suo arrivo nella capitale, nel gennaio di un anno fa. Nel paesaggio dei delusi si stagliano allora due figure. La prima è, inevitabilmente, quella di Mauro Goicoechea, che ha pagato errori grossolani e sollevazione popolare dopo il cambio di panchina. Stesso discorso per Panagiotis Tachtsidis, altro degli adepti del boemo scivolato tristemente ai margini della squadra. Chi non aveva messo in conto un trattamento simile è invece Alessandro Florenzi, titolarissimo con l’allenatore di Praga e che, per colpa di malanni e scelte a sorpresa, non è ancora mai sceso in campo dal 1′ con Andreazzoli ad impartire le direttive. Il diretto interessato sdrammatizza: “Reagisco forte, sono un ragazzo abituato a giocarsi il posto, non ci sono problemi. Decide il mister, sono a disposizione di squadra e società, cerco di fare il meglio per la squadra”. Ma dopo aver raggiunto la Nazionale maggiore a suon di prestazioni, per quanto tempo potrà accettare passivamente il ribaltimento delle gerarchie?

 

Fonte: squer.it

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