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REPUBBLICA.IT Soltanto 23.094 spettatori è il campionato della noia

Stadi Vuoti

(F.Bianchi) Sinora in serie A la media-partita è stata di 23.094 spettatori. La scorsa stagione, nello stesso periodo, era di 23.006; l’anno prima solo 22.830. Segnali confortanti? Non direi proprio, Inghilterra e Germania restano distanti anni luce: non si fa un passo avanti, anche se sono salite tre società (Torino, Sampdoria e Pescara) che sicuramente faranno più spettatori di Lecce, Novara e Cesena, lo scorso anno in A.

Ma non ci sono segnali di ripresa a Firenze, il Milan ha visto crollare gli abbonati, lo stesso Napoli non raccoglie più l’entusiasmo di un tempo. Pochi spettatori anche per la Lazio (derby a parte, ovviamente) e per il Palermo mentre il Cagliari cerca disperatamente di risolvere il problema dello stadio attraverso un percorso ad ostacoli. Ci vogliono impianti più piccoli, più accoglienti. Il tifoso deve sentirsi come a casa (vedi esempio virtuoso della Juve): ma i club cosa fanno? Poco o niente, come se la cosa li riguardasse in maniera marginale. Perché non vanno a lezione in Bundesliga o Premier League? Niente. Preferiscono tenere gli stadi (mezzi) vuoti e non abbassano nemmeno il prezzo del biglietto: in Italia siamo ancora troppo indietro rispetto al calcio che conta. Altro che campionato più bello del mondo: ormai è solo un ricordo.

Da risolvere poi il problema delle trasferte: colpa solo della tessera del tifoso? Non credo: è stata sottoscritta da un milione di persone solo in serie A, ma pochissimi seguono la loro squadra fuori casa. Sono sempre meno. Non sono serviti nemmeno gli sconti sui treni e negli Autogrill. I club fanno troppo poco per i loro tifosi, raramente se ne interessano. Forse non vogliono avere grane e preferiscono che gli appassionati se ne stiano a casa davanti alla tv? Probabile sia così: ma il calcio è bello quando ci sono stadi gli pieni, c’è colore, folclore, allegria. Ma ci siamo ridotti agli albo degli striscioni, che brutta fine…

Indispensabile, e non più rinviabile ormai, è soprattutto la riforma del campionati: che va concordata fra tutte le parti. Per ora si sono messe in cammino la Lega di B e la Lega Pro. In B, il presidente Andrea Abodi è stato bravo a convincere le società: dal 2014-15 si scende quindi da 22 (una follia, retaggio del caso Catania) a 20 club. Che sono già tanti, a mio avviso. Ma almeno la B ha iniziato il percorso vizioso, lanciando anche dei giovani. Così come la Lega Pro: per convinzione, ma anche per necessità (troppi i club falliti e quelli che non pagano gli stipendi), dal 2014-’15 avrà solo 60 società, un campionato unico di tre gironi. Una riforma che forse si poteva anche anticipare: difficile trovare il prossimo anno 69 club come adesso, 69 club che non abbiano penalizzazioni, paghino regolarmente gli stipendi e non facciano dormire i calciatori allo stadio (vedi Milazzo). Ma la rivoluzione era ormai improcrastinabile, visto che l’ex serie C partiva da un format di 90 club, altra follia tutta italiana. E’ stato bravoMario Macalli a spingere per la riforma, con il contributo determinante del presidente Giancarlo Abete, che ha convinto sindacato calciatori e associazione allenatori che è arrivato il momento della svolta, del coraggio. Ma Tommasi e Ulivieri, si sa, sono persone di buon senso. Ecco così la riforma approvata.

La Lega di A invece è ancora ferma, titubante: se i grossi club (Milan, Juve, Inter, Lazio, ecc.) sono pronti a scendere a 18 club, anche perché impegnati in Europa, altre società temono non solo di avere meno soldi dalle tv (e non è detto che sia così), ma anche di finire in serie B e restarci chissà quanti anni. Ci sono almeno 5-6 società che sono contrarie a cambiare format: sarà complicato mettere d’accordo tutti. Ma così si rischia di avere un campionato troppo modesto, con tante gare noiose. Se ne parlerà più avanti di questo problema, dopo l’elezione del presidente della A (quasi certa la conferma di Maurizio Beretta). Intanto, gli arbitri hanno già deciso: avanti con Marcello Nicchi, confermato a larghissima maggioranza (62,6%) presidente dell’Aia. Battuto lo sfidante Robert Antonhy Boggi, ex arbitro pure lui. Nicchi è in piena sintonia con Braschi e sa benissimo che questo è il periodo più delicato della stagione per gli arbitri (e per gli assistenti, colpevoli sinora degli errori più gravi). E’ sempre stato così. Ci vuole più concentrazione, e anche un po’ più di coraggio da parte di qualche arbitro (vero, Tagliavento?).

Fonte: repubblica.it


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