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ROMA-JUVENTUS. “Non avrai il mio scalpo”: il punto di vista di Kansas City 1927

Roma- Juventus

Roma-Juventus vista da Kansas City 1927

“Le potemo pure perde tutte le partite, ce se diceva per eccesso de paradosso a inizio campionato, quando avevamo capito che la strada pe la revoluciòn ci avrebbe fatto lascià pe campi tante de quelle lacrime e tanto de quer sangue da fa sembrà la Fornero na specie de Madre Teresa di Calcutta però fredda e imperturbabile.

Ma er tifo è cosa senza senso, fondamentalismo dell’anima, ragion per cui più e peggio se perde, più la bizzarra e vigliacca concomitanza umorale de sogni adolescenziali e nostalgici idealismi te riattizza er fomento, quello che te fa ricomincià ogni vorta da capo, cor bietto or telecomanno in mano, a tifà, urlà e incità chiunque se metta addosso quela maja sssssorica. Se poi la maja avversa è a strice bianconere, nessuna pietà per il ritorno dell’antico che tanto male nei secoli ha fatto a noi, ar carcio e più in generale ala giustizia proletaria.

Oggi se squarciagola, oggi se urla ar cielo la quarsiasi, che sia Viviani o José Angel, che sia Totti o De Rossi, è uguale, chi c’è c’è.

Stamo tarmente arovinati, rattoppati, ricuciti, rabberciati, sgarupati che se semo pronti a tutto contro tutti, figuramose contro la prima in classifica.

Perdere perderemo, ma de na cosa semo sicuri.Per Conte, farci lo scalpo, non sarà semplice come quando se l’è comprato.

Il bello è che tra noi e loro, loro i giocatori, pare essece più comunanza de intenti e de karma der solito. Tanto che se buttamo all’attacco e rimediamo subito un carcio d’angolo. Tanto che Ercapitano o batte piano pe Pjanic e a Pjanic nje pare vero de poté finarmente ridà tutte le palle che je passano pei piedi Arcapitano, e infatti jela ridà. Ercapitano je dice bravo Pjanic, continua così e durerai più de Zichichi, poi dar nulla esterneggia sapiente verso Capitan Boh, il quale dà il via, co na mezza bustarella de piscio ar volo, ala propria imperiosa gara. La bustarella spiazza Buffon e va a firmà er contratto de na vita tra le gambe de Vidal, che goffo prova invano l’impresa de non dà futuro an gollonzo tanto prematuro e rimbarzello quanto bello e finarmente fortunello.

Ancora se dovemo scallà la gola e già le vene der collo ce se stanno a gonfià come quella der giocatore centrale per il progetto che dar centro dell’area ha fatto centro proprio oggi che gioca centrale. Quarcuno a quel punto se comincia a chiede quanto manca, perché se sa, o sapemo tutti, a Iuve st’anno è forte, anzi no. Come diceva nallenatore de categoria dale poche ma efficaci metafore, ala Iuve quest’anno “je puzza er culo”. E infatti quelli che seguono so minuti de caciara a livelli vorticosi, capovolgimenti de fronte che ce vedono quasi sempre capovolgerci a ritroso ma co na tigna rara, na rabbia costante, napplicazione ai dettami der tecnico asturiano tale da dimenticasseli tutti pur de non pià gò. Osvardo e Lamela ricordano Annoni e Mardera, Taddei pare Berggren coi piedi, José Angel pare Jose Angel tale e quale, ma senza Twitter, il che pare gnente ma è quasi tutto.

La Iuve attacca, Vidal schiuma, Esticazziria tira ma Stek para de gomito e de pugno e la baracca regge, er vantaggio pure, er fomento difensivo aumenta ar punto che quasi speramo de non attaccà più, de subì pe tutta la partita, perché quei due, quei du biondi là in mezzo, so no spettacolo vietato ai minori.

Heinze e De Rossi, Ercannicane e Capitan Boh, fermano tutto quello che je passa vicino e lontano, co le gambe e co lo sguardo, coi peli der petto o coi denti der giudizio, come capita capita. Noi caricamo loro che caricano noi che caricamo loro. Stamo ar limite tutti, è neiaculazione collettiva che schizza definitivamente quando i raggi Dercannicane scannerizzano nella notte la sagoma den pallone nei pressi dele cavie cavije de Matri. Na forbice a mezza artezza de lame pampere taja l’aria e er prato co la maestria de Gamon, la mira de Gigen, e la stronzaggine de Lupin, tanto che è proprio Ercannicane a portasse via la palla zuppa de bava e fuggì via cor bottino.

Er pubblico se arza in piedi a batte le mano mentre Matri s’abbatte a unì le mano a preghiera. Trema come na foja Matri, cerca la madre Matri, nsè fatto gnente Matri, ma la sua carriera non ha mai rischiato così tanto. Ritrovatesi le gambe, ripresa la deambulazione, il velino chiede a De Rossi se tutto ciò sia normale. Qui quest’anno de normale nce sta gnente, je rutta Capitan Boh. E la partita de Matri finisce qui.

Fortunatamente per lui sopraggiunge l’intervallo, durante il quale uno psicologo messo a disposizione dalla Polizia je offre un pupazzo e gli chiede “Dimmi dove ti ha menato quel signore”. La giustizia farà il suo corso, vedremo, ma presumibilmente sto corso sarà che Heinze menerà alla giustizia.

Se rientra in campo e, essendo stata la squadra convincente, tutti s’aspettamo la formazione rivoltata come un calzino. Invece no, so gli stessi, Luigi ce stupisce sempre, mentre chi non ce stupisce so i soliti pori dementi che tempo du minuti tirano un fumogeno accanto a Buffon, che non avendo studiato recitazione come Dida fortunatamente lo ignora.

Allo stesso modo, sarà che dentro de lui se cela na 15enne argentina Cocomane coi primi pruriti della pubertà, er sor Orsatodaschìo continua a ignorà le botte che Lamela elargisce allegramente a destra e a manca, e ogni volta fa finta de non capì er gesto der cartellino che fanno gli zebrentini “Che è? Er mimo der ghiacciolo? No? Knockin on heaven’s door? E che se bussa così, de taglio?”.

Ma c’è poco da tajasse quando Esticazziria decide che chi de gò stronzo ha ferito, de gò stronzo ha da perì, e così, co la classe de chi sa domà er pallone, cor senso dell’assist de chi sa servì la squadra, ma soprattutto cor culo che sempre assiste chi se trova a fa anche solo na passeggiata nell’area nostra de sti tempi, da naborto de tiro tira fori na mezza palomba sbananata. Che nsarebbe mproblema se lì nce fosse l’Orango Chiello, ma quello c’è, e così, sgraziato e primitivo, sbuciato ma intuitivo, se trova er frutto der desiderio sulla capoccia e in anticipo sulla liana olandese lo schiaffa dentro, co consueta esultanza da Kong a rimorchio.

Evabbè, dai, se sapeva, c’avremmo firmato pe mpareggio, alla fine bicchiere mezzo pieno, mo stamo concentrati e anzi cercamo de tenesselo stretTOH! RIGORE!

Manco er tempo de mette le mano avanti, e subito l’occasione de tornà avanti.

Ogni tanto ce tocca pure a noi, nce se crede. Na palla ariva in qualche modo in area, Supplìcio rotola verso la Sud, ma nun basta. Allora Lamela dice, fico, tutti giù per terra? e se fa stende pure lui. Al che Orsatodeschìo, capirai, j’hai toccato er Coco suo, nun sente ragioni, de due armeno uno è rigore. Un rigore, a noi. Er primo dell’anno dopo l’orgia dell’anno scorso. Nemozione nell’emozione. Culo vole che ce sia capitato col rigorista in campo.

E però vabbè, chi è che non sbaja mai? No, non stamo a parlà Dercapitano, ma de noi medesimi, e no de noi in quanto tifosi daaroma, proprio noi Kansas1 e Kansas2 . Noi che pure a ste cose ce badamo, noi che pure de scaramanzia e scartavetramento de cojoni ce morimo più vorte ar giorno, se semo lasciati abbacinà da na mera statistica e amo scritto nela scheda pregara che Ercapitano a Buffò de solito o purga.

Amo scritto na cazzata.

Certo, va detto che Ercapitano fino a ieri naveva mai segnato e semmai la cosa poteva esse de bon auspicio. Certo, va detto che Buffon già aveva piato ngò che Storari sicuramente navrebbe mai piato. E insomma, mpo sta scheda aveva dato. Ma poi avevamo trascurato l’orango e quello c’aveva purgato. E la suatta Dercapitano non è stata australiana ar punto da evità che Seredovo non parasse er primo rigore de na cariera che non l’ha visto parà rigori manco quanno er fato aveva previsto che vincesse un mondiale co la possibilità de paranne uno su cinque.

E la zuffa riparte, e la Iuve ricore e Stek rivola antico ar punto che pe incitallo, siccome Stekelemburg è parola poco adatta a na situazione der genere, un tifoso in cerca de sintesi je urla “esci Francooooo!”. E tutti capimo che Franco è Stekelemburg. E Franco esce e abbranca. E tanto semo pessimisti che stamo solo a aspettà er momento der dolore.

Che già stamo a pensà all’ennesima partita persa all’urtimo minuto. Ma avereventanni, anche meno, serve proprio a cambià forma mentis. Motivo per cui a na certa, Lamela, ormai stufo de gonfià nanonimo Lichtestein, prende la palla nella sua metà campo e core lento ma veloce, calmo ma agitato, testa alta, petto in fuori, palla portata ad accarezzare l’erba, cogli avversari che nvece de coje Lamela je cascano ale spalle uno dopo l’altro. 350 metri de campo palla ar piede che so un inno al ricambio generazionale.

Ma Lamela non rottama, anzi. Lamela sa che er novo senza er vecchio non va da nessuna parte, motivo per cui l’assist Arcapitano è dovuto, opportuno, riparatore, tentatore. Ercapitano riceve ma non tira, dribbla da destra a sinistra, le gambe je se piegano, er gò s’infrange sui gorilla artrui.

E’ l’ultima occasione degna de sto nome, e dopo un recupero de quelli fatti apposta pe fatte pià gò all’innaturale 51esimo ariva er triplice a sancire. Sì, ma sancire che? Non è facile da capì subito, se sta in quel limbo che oscilla tra la sensazione de massacro evitato e de occasione sfumata, ma basta guardasse intorno pe capì che c’è de più.

Basta ricomincià a respirà dopo 90+6 minuti pe rendese conto che quello che arriva ai bronchi è ossigeno, che inaspettatamente l’aria de dicembre s’è fatta all’improvviso più leggera. Amo fatto na partita normale da squadra normale, amo rischiato de vince e de perde, amo fatto un numero de passaggi e de tiri normale, quasi normale insomma, amo giocato bene, quasi bene, benino dai. Amo lottato.

A fine gara Ermiste dice: “Pensavo che il rigore entrasse, ma visto il momento poteva anche sbattere sul palo e innescare un contropiede con gol per loro”, e non c’ha tutti i torti.

E allora, visto il momento, sto punto se lo tenemo stretto, anche perchè un pareggio, ao, e chi soo ricordava più npareggio, contro la capolista poi, che a fine gara esurta come avesse vinto. Robba da nun crede. Robba quasi da rosicà. Robba da dì che semo ancora vivi.

Robba da Roma, quarsiasi cosa vojà dì”.


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