(D. Romani) «Domenica appena varcherò i cancelli dello stadio mi emozionerò. Ma non voglio far mancare il mio apporto alla squadra. Io sono romanista e in queste occasioni non posso mancare». Salgono i battiti in prossimità del derby Lazio-Roma e Giacomo Losi,«Core de Roma», è pronto a non far mancare il suo apporto alla squadra per la quale ha giocato 15 anni. Lui che l’11 ottobre di 50 anni fa, da capitano, alzò la Coppa delle Fiere alla stadio Olimpico, primo e unico trofeo internazionale vinto dai giallorossi. «Ero così emozionato che quando presi la coppa del presidente dell’Uefa non la lasciai a nessuno. La volevo tenere solo io».
Fu una cavalcata straordinaria.
«La società non credeva molto nella possibilità mentre noi giocatori ci abbiamo sempre provato e alla fine dopo due spareggi, ai quarti di finale con il Colonia e in semifinale con l’Hibernian, abbiamo raggiunto la finale con il Birmingham centrando un traguardo storico».
Soprattutto per un ragazzo che ai suoi esordi calcistici giocò sotto falso nome.
«Non avevo ancora 14 anni e per giocare in Prima categoria nella squadra del mio paese (Soncino, in provincia di Cremona, ndr) ho usato un nome di un amico più grande di me. La fortuna è che l’arbitro guardava solo il numero di maglia senza controllare la nostra reale identità».
Che ricordi ha del derby?
«È una cosa a sé. Dal martedì ti portavano in ritiro per isolarti dalla tensione che si viveva in città. Una domenica comunque da gustarsi intensamente».
E la Roma di oggi le piace?
«È un progetto che inizia a convincermi. Le prime partite non tanto, ma ora mi sembra che la squadra recepisca meglio le direttive di un allenatore che non guarda in faccia nessuno. Ma Roma è sempre una piazza particolare: perdi due o tre partite e la società decide di cambiarti. Anche se la nuova società, quella degli americani, mi sembra che sposi appieno le idee di Luis Enrique».
«Core de Roma», un soprannome che dice tutto della sua dedizione alla Roma.
«È un nomignolo che adoro. Io per la Roma ho sempre dato tutto in campo. In 15 anni con questa squadra non sono mai uscito anticipatamente dal campo. Allora non c’erano le sostituzioni e in quegli anni ho l’orgoglio di affermare che non sono mai stato espulso».
Totti e De Rossi sono oggi quello che lei è stato negli Anni 50. Bandiere che hanno legato il loro nome alla maglia della Roma.
«Francesco e Daniele sono due giocatori straordinari che a differenza di molti altri campioni hanno scelto di sposare il loro talento con una sola squadra. Questo gli fa onore. Credo che De Rossi sia il giusto erede di Totti, mi dispiace se domenica Francesco non ci sarà».
Qual è stato il compagno di squadra più forte con il quale ha giocato?
«Difficile sceglierne uno. Ne scelgo quattro. Schiaffino, Angelillo, Ghiggia e Lojacono».
E l’avversario più ostico che ha marcato?
«Senza dubbio Gento. Era il mio esordio in nazionale, a Barcellona contro la Spagna. Alla fine perdemmo 3-1».