Trenta minuti nei quali, nella nuova veste di Brand Ambassador di Betsson Sport, Francesco Totti si apre. Dall’inseguimento infinito alla nuova Roma, a De Rossi, da Dybala passando per Pellegrini, non dimenticando il rapporto mai nato con i Friedkin, il mercato, la Nazionale, Spalletti e il figlio Christian. […]
Quel maledetto tempo pronunciato il 28 maggio del 2017, sette anni dopo è sempre maledetto oppure si è un po’ abituato a non essere più protagonista senza calcio?
“Rimarrà sempre maledetto. Una volta che smetti, poi cambia totalmente la visione della vita. Cambiano le abitudini, il campo di calcio, la percezione del divertimento. Adesso vivo con altri pensieri, inseguo altri scopi. Come ho sempre detto, c’è un inizio e una fine, perciò è giusto così”.
Oggi il calcio non è più al centro della sua vita?
“No, certamente. Non facendo parte di nessuna squadra, diventa secondario. Non posso seguire da dentro ciò che può accadere dentro una società. Adesso sono tifoso della Roma e basta”.
Ma perché Totti non è nella Roma? Che cosa c’è di sbagliato in lei?
“Non lo so, forse troppa lealtà, eccessiva sincerità. Forse sono una figura ingombrante. Quello che dico io viene preso in considerazione, quello che dicono altri, meno. È come se avessero paura di avere una figura importante dentro la società, credono che non possa aiutare e invece uno potrebbe farlo”.
Ha rivelato di essersi sentito spesso al telefono con De Rossi in questo ultimo mese. Non sarebbe più utile farlo come un referente tecnico?
“Sì, ma non è una mia decisione. Se nessuno mi chiama… Non sono io che vado a bussare alla porta”.
In che ruolo si vedrebbe?
“Direttore sportivo non lo farei mai, però magari mi vedrei in un ruolo come quello ricoperto da Ibrahimovic o Zanetti: un riferimento tra società, squadra e allenatore. In poche parole, una figura come quella del direttore tecnico. Uno che ci mette la faccia, che dice le cose come stanno, è semplicissimo. Un incarico operativo, non uno da chiamare solo quando ci sono dei problemi”.
Con De Rossi sareste una bella coppia
“Con Daniele non ho mai avuto problemi. Per lui non darei una mano, ma un braccio, per farlo stare bene e tranquillo. Anche perché, come è giusto che sia, se lavorassi per la società è come se lavorassi per Daniele. Cammineremmo insieme”.
Ha mai pensato di utilizzare le sue competenze in un altro club?
“Qualche squadra mi ha chiamato. Comunque no, come ho sempre dichiarato, io sono fedele alla Roma”.
Rimane sempre quella fedeltà? Anche ora che ha smesso di giocare?
“Sì. Perché se dovessi andare a fare il dirigente in un altro club sarebbe un fallimento. Ma per la Roma, non per me”.
Ad oggi si è sentito più illuso o deluso
“Sono rimasto deluso e basta. Anche perché per quello che ho fatto io per la Roma, per la società, per tutti, mi aspettavo qualcosa di diverso. Ogni due, tre, quattro, cinque anni la proprietà cambia e chi arriva ha le sue idee e i suoi pensieri. E alla fine sono da rispettare”.
Le piace questa Roma che sta nascendo?
“Ancora non l’ho capita sinceramente. Alla fine è stato un miscuglio di giocatori, chi prima, chi dopo, alla fine sono stati presi quattro calciatori insieme. Sono stati investiti tanti soldi. Io con settanta milioni avrei fatto altre scelte, li avrei spesi diversamente. Come? Non per due giocatori sicuramente, ne avrei presi quattro-cinque. Dovbyk? L’attaccante certamente andava preso e in quel caso meno di trenta è difficile”.
Chi le piace di più dei nuovi arrivati?
“Koné, lui sì che mi piace”.
Su Dybala si era espresso qualche tempo fa
“E rimango del mio pensiero, anche perché non ho mai parlato male di Paulo. Ho sempre avuto massimo rispetto e ammirazione anche perché ho sempre detto che il giocatore più forte della Roma perciò va tutelato. Ma adesso vediamo come lo gestiranno. Quello che è accaduto ultimamente forse è stata un’incomprensione o un malinteso, vedremo”.
Crede che paradossalmente la sua permanenza nella Capitale possa complicare un po’ i piani di De Rossi che aveva lavorato per tutta l’estate su un determinato tipo di gioco e ora probabilmente dovrà cambiarlo?
“Diciamo che Daniele è l’unico che lo vede quotidianamente e lo sa gestire. E poi, quando lui reputerà di farlo giocare dal primo minuto, lo farà giocare, oppure lo metterà in panchina”.
Come si concilia la panchina per quello che lei ha definito il “calciatore più forte della Roma”?
“Va gestito, perché non può fare determinate partite ravvicinate. E non lo sostengo solo io”.
È la volta buona per arrivare in Champions?
“Vedendo le spese folli che ha fatto sul mercato, la Roma deve arrivarci, per forza. Se investi 100 milioni e non ci arrivi è un fallimento totale. Anche perché senza Champions, Daniele salta prima, non arriva fino alla fine”.
Un errore che De Rossi non deve commettere?
“Deve chiudersi in se stesso e parlare con chi di dovere. Deve soprattutto farsi rispettare”.
Quando utilizza l’espressione “chi di dovere” a chi si riferisce?
“Al suo staff, alle persone che sono vicino a lui, quelle in grado di dargli una mano, che cercano di fargli capire gli errori. Daniele ha un gruppo di lavoro forte, valido. Mi auguro e penso che ci riuscirà perché conosce bene la piazza, l’ambiente e la società”.
Altrimenti rischia di diventare un parafulmine.
“Daniele è il parafulmine. E chi ci rimette è lui. Però, ripeto, fortunatamente è uno che conosce tutto e tutti”.
Così non rischia di diventare il nuovo Mourinho?
“Certamente, anche se in questo momento è l’unico che può fare l’allenatore a Roma. Ma torniamo al solito discorso, se c’è la società forte che esce allo scoperto e parla chiaro sugli obiettivi, allora è tutto tranquillo. In questo modo la piazza sa tutto. Invece ora la colpa, nel caso le cose non dovessero andare bene, ricadrebbe tutta su Daniele. È quello che è accaduto a Mourinho, perché José ci metteva la faccia. Però nessuno lo aiutava, nessuno parlava. Dopo è dura eh, mettersi contro sei milioni di persone. E dura, perché puoi essere chi vuoi, se non porti risultati, diventi il capro espiatorio. Ma Daniele ne è consapevole”.
Non crede che trattandosi di De Rossi, la gente lo perdonerebbe?
“No. Ormai no. Avete visto cosa gli hanno detto dopo queste prime partite? Quello che ha fatto l’anno scorso è già il passato. Se lo sono dimenticati tutti, è passato anche ciò che ha fatto da calciatore. Sono i lati positivi e negativi del calcio. Ci si dimentica facilmente, guardate cosa è accaduto con me. E poi un conto è essere calciatore, un altro allenatore. Lui adesso ha la responsabilità di tutto”.Lo scudetto chi lo vince?
“Inter o Juve, sono troppo più forti delle altre”.
Pellegrini è un capitano che divide la tifoseria com’era accaduto in passato a Giannini. Lei lo ha sempre sostenuto. Che ne pensa della sua situazione?
“A Lorenzo voglio bene, ma poi conta solo il rettangolo di gioco. Se non ti esprimi al meglio là dentro puoi essere chi ti pare. Ultimamente non ha giocato come dovrebbe. Purtroppo è la realtà dei fatti, Roma è una piazza particolare e le reazioni ci sono. La gente vuole l’attaccamento alla maglia, ma pure che giochi al cento per cento. E lui, essendo capitano, ha maggiori responsabilità rispetto agli altri”.
Lei che consiglio gli darebbe? Di restare o andare via?
“Difficile dirlo, se hai una tifoseria contro è complicato giocare. Lo è già salire le scalette dell’Olimpico. Ricordo i tempi di Tommasi, non guardava in faccia nessuno quando fischiavano, giocava e basta”.
È in grado Lorenzo di fare come Tommasi?
“Questo non lo so, perché non lo conosco bene. Però io penso di sì”.
Ieri era l’11 settembre, una data nefasta. Che ricorda di quel Roma-Real, suo esordio in Champions?“Stavamo facendo colazione, guardavamo ciò che stava accadendo alle Torri Gemelle. Venne Capello parlando subito di attentato, stentavamo a crederci, lui di solito ingigantiva tutto. Non sapevamo se si poteva giocare o meno, era la prima partita in Champions contro il Real Madrid. C’erano 80.000 persone. Eravamo frastornati. Una giornata particolare, si giocava nel silenzio”.
Ma suo figlio Cristian doveva fare proprio il calciatore?“Io speravo che facesse il tennista, era anche bravo, poi all’improvviso ha scelto di giocare a pallone. E io non posso negare a un ragazzo giovane i suoi sogni, i suoi obiettivi. Se andrà bene ok, altrimenti farà un altro lavoro”.
La feriscono le critiche nei suoi confronti?
“Mi dispiace per il ragazzo, io non ho mai parlato male di un altro figlio, di una persona che non conosco. Sarebbe veramente sporco. E da indegni parlare male di un diciottenne che ha i suoi sogni. Poi sia figlio di chiunque, il papà può fare anche il macellaio. Il problema è che fanno le differenze, Cristian ha il mio cognome e questo è il problema. Allora per tanti lui è diverso, ma invece non lo è. Si tratta di un ragazzo come tanti, semplice, educato, rispettoso, che ha i suoi sogni e gli altri li devono rispettare. Non è che mi metto a rispondere a chi lo insulta, dando degli ignoranti o maleducati. Quelli che parlano così sono i classici leoni da tastiera. Sono gli stessi che lo insultano e poi vengono da me a chiedere un selfie o l’autografo”.
La Nazionale è ripartita dopo un Europeo fallimentare.
“Pensavamo un po’ tutti che l’Italia potesse fare molto meglio, ma non sono arrivati in buone condizioni fisiche e mentali. Quando si approccia così una competizione così importante è difficile arrivare fino in fondo. Spalletti fortunatamente o sfortunatamente penso abbia capito i suoi errori, quindi sperò che possa ripartire da questa Nations League per poter tornare ad alti livelli”.
Fonte: Il Messaggero