Calcio&brand, caso Totti da imitare

(M. Capisani) –«Essere su una barca condotta da altri» non è mai una situazione ideale ma è quella in cui si trovano le squadra di calcio italiane che attraversano il mare del marketing sportivo. In Italia, «c’è un’arretratezza di cultura di marketing mentre invece i team stranieri accelerano il passo», spiega Piero Almiento, docente di marketing e sales alla Sda Università Bocconi school of management. Almiento traduce quest’arretratezza direttamente in numeri: «a guardare la Champions league, per esempio, il Barcellona dipende dai ricavi del torneo per il 10% del suo fatturato complessivo, il Real Madrid per il 12%, il Manchester per il 16%, la Juventus per il 21% e la Roma per il 30%. Questo vuol dire che le squadre straniere sanno fare un marketing migliore anche al di là del torneo che più di altri ha saputo trarre valore dalle sue partite», ha concluso il docente durante Marketing Media and Money, trasmissione in onda su Class Cnbc (canale 507 di Sky) condotta ogni martedì alle 21 dal direttore di Class Cnbc Andrea Labrini, insieme alla giornalista Silvia Sgaravatti.

«E’ pericoloso dipendere così tanto» da una sola competizione, prosegue il docente. «Se i club italiani non vogliono scomparire, devono adeguare il passo. Il traguardo si raggiunge solo slegando i risultati delle partite da quelli del conto economico, puntando per esempio più sull’intrattenimento che sull’andamento dei match, elemento aleatorio». In attesa sabato prossimo della finale di Champions League (Juventus vs Real Madrid) e guardando invece al saluto dei tifosi (non solo romanisti) a Francesco Totti emerge che in Italia c’è «un potenziale inespresso nel fare community» considerando che «i giocatori, per l’appunto, non vanno utilizzati come figurine», aggiunge Almiento. «Occorre affidare loro compiti operativi come successo con Gennaro Gattuso che torna al Milan per allenare la Primavera».

Senza trascurare l’importanza di uno stadio di proprietà piuttosto che la necessaria creazione di contenuti per dare il senso d’identità, a giudizio del docente della Bocconi, «ogni investimento deve essere accompagnato da dati certi come il costo contatto, il grado di avvicinamento al marchio» e, sempre in un’ottica di big data, «il ritorno, anche qualitativo, sull’investimento». Il paradosso è che l’Italia ha il calcio, sport tra i più esportabili, ma secondo le classifiche internazionali gli sport più redditizi sono il football americano, il baseball, il basket e l’hockey. Tanto è vero che l’americana National football league-Nfl muove un business da oltre 13 miliardi di dollari (11,6 mld di euro), la Major league baseball-Mlb 10,6 mld di dollari (9,4 mld di euro) e la National hockey league-Nhl 3,6 mld di dollari (3,2 mld di euro). La prima competizione europea a comparire in classifica è la tedesca Bundesliga di calcio 3,6 mld di dollari (3,2 mld di euro). A conferma delle varie vie percorribili nel marketing sportivo (ben presidiato tra per esempio da marchi come Adidas, Nike, Pepsi, Heineken e Gatorade) c’è il caso Huawei Italia che in 5 anni ha portato la sua brand awareness «al 92% dal 12%», ha spiegato a Marketing Media and Money Lindoro Ettore Patriarca, direttore marketing consumer. «Dopo tre anni di sponsorizzazione col Milan, siamo ora partner delle principali maratone italiane. Come con la musica e la partnership col talent show The Voice of Italy, l’intrattenimento dal vivo è il valore aggiunto» da cavalcare.

Fonte: italia oggi

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